Un film di Pedro Lazaga. Con Mark Burns, Lynne Frederick, Ricardo Merino, Paul Benson, Frank Clement, Conchita Cuetos, Juan Diego. Un film datato 1975.
Ecco un altro film dei miei nostalgici ricordi. Poco conosciuto ed oggi quasi dimenticato, il film di Lazaga, A Venezia muore un’estate, adatta il tema della criogenetica ad una insolita love-story i cui tragici risvolti sono risolti abilmente tra melodramma ed ironia. Oggi una pellicola così sarebbe quasi inconcepibile. Il film segue la scia di Anonimo Veneziano e tutto il genere dell’epoca, decisamente melodrammatico. Una storia d’altri tempi, fine, delicata, romantica e particolare, dei tempi andati che riescono solo a rievocare meravigliose nostalgie.
Vi parlerò dunque di questo film, anch’esso rimasto custodito in un cassettino della mia memoria e, soprattutto del mio cuore. Già, perché Mark Burns, il fantastico bellissimo David, nel film, a quei tempi me lo fece battere un bel po’, ma solo nei miei sogni di giovanissima ragazza, insieme a qualche omissis...
Anna è una studentessa universitaria, bella, ricca e giovane. Si innamora dell'architetto David Norton e dopo ripetuti tentativi riesce a conquistarlo e a sposarlo. Dopo un po’ di tempo, mentre il loro amore procede, nel miglior modo in cui possa intendersi l’amore, Anna manifesta i primi sintomi di una grave e rara malattia: la lipomatosi. Comincia ad avere amnesie improvvise e gli specialisti confermano che la donna non ha speranze di sopravvivere a lungo. David è disperato, ed è per questo che accetta la soluzione estrema di sottoporre la moglie ad una tecnica sperimentale di ibernazione, in attesa che la scienza scopra un rimedio per salvarla. Rinuncia dunque a condividere con la moglie ben 40anni della loro vita insieme. Solo dopo questi lunghissimi anni, ci sarà, infatti, la cura per Anna che viene rianimata e risvegliata dal suo lungo letargo e sottoposta con successo alla nuova cura. Adesso lei è guarita, ma il mondo e le persone intorno a lei sono cambiati: i suoi genitori sono scomparsi, gli amici del suo gruppo e suo marito, che vive nella malinconia e nel ricordo dei tempi passati, sono ormai vecchi. Ma l'amore per David non è, tuttavia, venuto meno e, nonostante la differenza di età, la donna gli resta fedele e devota, fino a quando questi muore per un attacco cardiaco. Era trascorso un tempo indefinito per Anna, un tempo che non avrebbe più conosciuto né vissuto, perché congelato con lei. Anna si risveglia dall’ibernazione e trova tutto fantascientifico. Perfino la stanza dell’ospedale, dove si trova ricoverata, lo è. Dopo i primi momenti di confusione e smarrimento si ritrova proiettata nella nuova vita e, piena di entusiasmo per averla ritrovata, riesce a scoprire nuovi interessi, rinnovati impulsi e nuove occasioni. David, invece, è vecchio, ed è rimasto nel suo tempo e nei suoi ricordi pieni di dolore. Dapprincipio sembra non capire che Anna, la donna che ha amato così profondamente, non esiste più, e che per lui è rimasta per sempre ibernata. Quella che sta scoprendo è una donna nuova, ed è deluso, sembra non accettare la sconfitta di un’esistenza sacrificata. Forse ha commesso un grave errore: anche se è felice di vederla ancora vivere e sorridere. David, nel suo immaginario, credeva di ritrovare la sua Anna, la donna che aveva conosciuto e della quale si era perdutamente innamorato. Ma Anna oggi è una donna diversa che deve riadattarsi alla vita con mille difficoltà e non ha tempo per compiangersi.
Mi capita di condividere qualche momento nostalgico con cari e fraterni amici, con i quali ho in comune ideali, scambi culturali e ricordi. E proprio recentemente si affrontavano "nostalgicamente" argomenti nel merito di questa nuova società, del modus vivendi, operandi, e soprattutto comunicandi. Si è discusso di politica, dei personaggi politici, del sentimento di vera e fraterna amicizia e perfino di educazione. Già, perché anche il bon ton e certo formalismo sono andati decisamente in pensione. Che sia giusto o meno non lo so, per quanto mi riguarda preferivo, almeno per questi aspetti, l'altro modo di vivere, quello di un tempo passato: dove la semplicità, l’eleganza verbale e del comportamento erano il biglietto da visita, proprio l’essenza di un individuo. Oggi tutto questo “formalismo” appare manieroso e superato: decisamente obsoleto. Eppure aveva un certo fascino, almeno per me. Ma questo non significa che non viva questi tempi, dove riesco perfino a trovare aspetti ed elementi positivi. Vivere nostalgicamente la vita, ecco il vero problema! Ai più sensibili capita, tranne qualche fugace distrazione. Ma il motivo di base rimane, ed è questa malinconia di fondo che dona colori diversi ai paesaggi, al mare, al cielo, ai fiori, ai tramonti... E rende un ascolto diverso alla musica, ad una poesia, e significato più profondo alla lettura di un libro... insomma a tutto, ben riflettendo. Perché gli occhi del nostalgico e il cuore dello stesso non sono osservatori della comune materia in modo uguale. Vorrei precisare e sottolineare che l’atteggiamento del nostalgico è realmente particolare anche rispetto alla stessa visione della vita, accolta e abbracciata sempre con estrema sensibilità. Chi vi scrive è ovviamente una “nostalgica distratta”. Distratta per ovvie ragioni, per lavoro e perché si deve andare avanti, altrimenti si rischia perfino di diventare anacronistici, oltre che pesanti da sopportare. La vita è un continuo divenire, e anche noi lo siamo: tutto si trasforma, nulla si distrugge. E qualche volta le trasformazioni ci arrecano profondo dolore, smarrimento e incapacità immediata alla comprensione. Ogni giorno scopro di me nuove risorse, nuovi aspetti, perfino caratteriali. Certo, sono ben consapevole di essere cambiata, di non essere più la ragazza sognatrice di un tempo, anche se qualcosa rimane sempre dell'originaria essenza. Ma il passato non torna più, e se anche tornasse ci troverebbe diversi e non più coinvolti come nei nostri malinconici sogni, esattamente come accade nel film. E, dunque, una sana nostalgia, guardata con il sorriso e vissuta in solitudine e nel ricordo di un tempo che fu, accresce lo spirito e lo tempra per affrontare meglio questi nuovi più attuali giorni; quella manifesta, invece, crea disagio, sofferenza e diviene deleteria per sé e per gli altri. Questa è la vita raccontata dai nostri nonni, poi dai nostri padri, ancor prima di noi. Saranno forse i primi sintomi di un’altra fase di vita che ancora non sento pienamente mia e che non oso definire vecchiaia?
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