“Per arrivare a timbrare il cartellino d'entrata alle 8 e 30 precise, Fantozzi sedici anni fa cominciò col mettere la sveglia alle 6 e un quarto: oggi, a forza di esperimenti e perfezionamenti continui, è arrivato a metterla alle 7:51... vale a dire al limite delle possibilità umane! Tutto è calcolato sul filo dei secondi: cinque secondi per riprendere conoscenza, quattro secondi per superare il quotidiano impatto con la vista della moglie, più sei per chiedersi ‐ come sempre senza risposta ‐ cosa mai lo spinse un giorno a sposare quella specie di curioso animale domestico, tre secondi per bere il maledetto caffè della signora Pina ‐ tremila gradi Fahrenheit! ‐, dagli otto ai dieci secondi per stemperare la lingua rovente sotto il rubinetto, due secondi e mezzo per il bacino a sua figlia Mariangela, caffelatte con pettinata incorporata, spazzolata dentifricio mentolato su sapore caffè, provocante funzioni fisiologiche che può così espletare nel tempo di valore europeo di sei secondi netti. Ha ancora un patrimonio di tre minuti per vestirsi e correre alla fermata del suo autobus che passa alle 8:01. Tutto questo naturalmente salvo tragici imprevisti...”
Paolo Villaggio, 84 anni, di certo una bella età, anche soddisfacente, per salutare la vita se vissuta appieno. Ma questo in verità non lo sapremo mai di nessuno, perché ognuno di noi offre alla vita, alla gente, la facciata che desidera mostrare. Eppure, stamattina, alla notizia della sua morte, ho avuto un forte dispiacere, un altro tuffo nella malinconia dei miei ricordi, di un passato dove si rideva tutti insieme attorno a una Tv, dove ancora si dibatteva intorno a un tavolo, ridendo magari della corazzata Kotiomkin, (una cagata pazzesca!) e 92 minuti di applausi...
Con Paolo Villaggio ho detto addio all’attore, all’uomo che mi ha fatto ridere tanto davanti alla TV con i miei familiari, e con mio padre, un altro assente, ma anche ad uno stile di vita che ormai non sento da troppo tempo, per ritrovarmi in un altro dove non mi riconosco più. E con immenso dolore. Il capo “mega direttore galattico” che ci fa sprofondare sulla poltrona - rigorosamente di pelle umana -, e ti fa sentire una merdaccia… non esiste più, semmai oggi è un personaggio degno di irriverenza, e anche se la satira lievitava una posizione, di certo in quell’epoca un capo era sempre un capo. Parliamo infatti dei mitici anni 70/80 che oggi appaiono lontanissimi per costume e identità. Ecco perché quando scompare un grande attore che ha incarnato la filosofia di un’epoca il mio saluto si dilata a ben oltre il dolore di una perdita umana. Paolo, con il mitico Fantozzi, ragionier Ugo, ha personificato il piccolo borghese, con la moglie fedele e prima ammiratrice (una tenera figura) anche se bruttarella, e una figlia, Mariangela, impresentabile… anche se affettuosa e mite. E un amore impossibile per la signorina Silvani, l’irraggiungibile apoteosi.
Goffo, pacchiano, tuttavia superuomo di se stesso nella sua piccola famiglia, e nella sua identità di impiegato sfigato. E chi qualche volta nella vita non si è sentito un po’ come Fantozzi? Grazie dunque all’attore che ha saputo impersonare la figura dell’uomo medio, anche se talvolta ridicolizzandola, ma di certo non ha creato falsi miti nascosti dietro una tastiera di un computer, tuttologi senza credo e identità… e magari più sfigati del tragico ragionier Ugo.
Marina De Luca
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