"C'è uno spettacolo più grandioso del mare, ed è il cielo; c'è uno spettacolo più grandioso del cielo, ed è l'interno di un'anima."
Victor Hugo
Mi sono interrogata sull’opportunità di fondere sentimenti personali con la malattia (Alzheimer) e i problemi sociali che ne derivano. Ma se la finalità è una giusta causa, e un giornale online con tanti lettori può essere un modo per diffondere il dramma di una patologia ancora sconosciuta, allora sì. Anche Machiavelli, nel Principe, disse che "Il fine giustifica i mezzi".
Un guizzo vivace negli occhi, uno sguardo birichino quasi da bambina e poi niente, solo silenzio e qualche vago spiraglio di memoria. Ecco catturato uno dei molteplici – migliori momenti – di un malato di Alzheimer, una malattia che molti sconoscono per loro fortuna, ma che investe come uno tsunami non solo chi l’ha ma soprattutto chi l’assiste. S’inizia gradualmente e tristemente a entrare nel calvario e nel tunnel della malattia, purtroppo senza via d’uscita, nella quale si approda, annaspando pieni di incertezze, come bambini che iniziano i loro primi passi e incontrano per la prima volta la vita. E a poco – sinceramente – servono i consigli e i farmaci del neurologo di turno. Lo sconforto è grande, l’accettazione della nuova realtà ancora di più, ma è difficile che si rivolgano a te come vorresti, perché sei solo un familiare, non l’ammalato! Ma quell’ammalato che stenti a riconoscere è un tuo caro, non sai più capire i suoi comportamenti perché ancora non hai assunto la triste realtà. Ci vuole tempo prima che accogli il nuovo lui o la nuova lei. I nostri cari non saranno mai più come prima, come quando accarezzavano il tuo viso di bambino e curavano le ferite della tua anima, punti fermi nella tua vita come montagne ricche d’inesauribile forza. Ed è un processo irreversibile.
E mentre Chopin con i suoi notturni accompagna la mia mestizia, in questa sera già impregnata d’estate, nella memoria di un passato che non potrà mai più tornare, rivedo quel lampo negli occhi sempre più piccoli: chissà dov’erano quegli occhi! E incombono i ricordi, e fantastico su una paura che, forse, quegli occhi ancora vivi ma stanchi non avvertono più: la morte. O, magari, cercano dignitosamente di mascherarla. Non lo so, non ho più certezze da qualche tempo, lascio scivolare la vita così come viene. Intanto la tristezza pressa l'anima e cerca una luce nella stella di passaggio, o nell’onda del mare che pare sfiori la battigia, in questa sera di vaga estate. E nel suo moto incessante rivivono perfettamente in sincronia le emozioni, dolcissime e violente come quelle prodotte da un amore felice o tradito.
E ripensi a quegli occhi buoni e sconosciuti come quelli di Antonietta. Sì, mi pare si chiami così! É un’operatrice del centro Karol di Villabate, una Residenza Sanitaria Assistita, la nuova "casa" di un mio importante affetto. Lo chiama il condominio gentile, perché chi lo abita è molto gentile ed educato. Immagina di essere a casa, perché fondamentalmente in questo momento è un po’ come se lo fosse. Con Antonietta che ci viene incontro nel salone delle attività, non servono tante parole, solo quelle giuste per presentarsi e raccontare chi siamo oggi, nella nuova dimensione della crudele malattia, e chi eravamo nel tempo della ragione. I nostri occhi colmi di commozione si sono riconosciuti e hanno capito, sanno perché sono identici, rivelano forse… lo stesso dolore, sincero e profondo. E non occorre trasferire troppe emozioni, perché hanno parlato silenziose le nostre anime. Ed è meraviglioso sentirsi a casa, finalmente compresi come non mai. E anche se non so ancora chi sia, in realtà credo di aver scrutato la sua anima, così come lei la mia. E anche quella degli altri operatori: medici, paramedici, amministrativi, stagisti, insomma tutti, altrettanto accoglienti e preparati, rispetto a questa patologia che mai avresti voluto incontrare nel percorso della tua esistenza, già così effimera. Quest’amara verità, ha scoperto fragilità inesplorate e, giorno dopo giorno, dopo momenti di rivolta e accettazione, si impara a decodificare un comportamento nuovo, sconosciuto, imperfetto, delicato, irruento e pericoloso. E bisogni inespressi, esattamente come si fa con i bambini quando ancora non sanno parlare. Tutto qui? No, non è tutto qui. Poi c’è una memoria che ho definito ancora più breve di una memoria ram (quella del computer per intenderci), perché il pensiero o i ricordi non si salvano in una memoria di massa, come ad esempio quel particolare cassettino che viene fuori sempre nel momento più opportuno. In questo caso non si ha nessun dispositivo di massa ossia di riserva, pertanto qualsiasi evento (eccetto qualche sprazzo qua e là non ben identificabile e collocabile nel tempo) è automaticamente annullato, a volte anche immediatamente, quasi dopo essersi compiuto.
“… ti è piaciuto il gelato?”
“Quale gelato!?” - “Perché, ho mangiato il gelato!?”.
Ed ecco che ti senti franare il mondo addosso, e non puoi neanche piangere o reagire. E non ti resta che sorridere rassicurante, e far finta che tutto vada bene.
A quest’immane dolore, si aggiungono le oggettive difficoltà di gestione di una lunga e severa malattia, e quelle soggettive dei familiari che assistono questi particolari ammalati, che devono far conciliare il lavoro, gli impegni della vita, la perdita di socialità, e le incomprensioni con i propri partner o i figli. Insomma si è veramente messi a dura prova. Ci vogliono pazienza, infinita energia e una forza d’animo che non è comune e che non è da tutti. Ad esempio: un animo empatico soffre e sente tutto il peso della realtà visibile e invisibile, avverte quasi una simbiosi con l’ammalato, e spesso non è capace di uscire dal tunnel di una depressione che richiede cure. Le demenze, giacché tali, sono sminuite perché colpiscono soggetti molto anziani. Ma non è sempre così! Ho incontrato nel bel viale della casa di cura Karol una donna ancora giovane e ancora attraente al braccio di un uomo, forse il compagno di una vita inabissatasi nella malattia. Ho visto pietose carezze, segno di carità o forse rimembranze sbiadite di un amore che ha subito lo strazio delle peggiori torture, peggio ancora di un abbandono voluto, perché semplicemente obbligato da un destino crudele che ha vinto sull’amore. Un altro aspetto da non sottovalutare è quello della dignità dell’ammalato. Perché anche questi soggetti necessitano ancora di più rispetto, decoro e non solo. Anche i loro familiari, talvolta figli già avanti con gli anni, urgono di conforto morale, di supporto fisico e soprattutto psicologico, perché il danno si dissemina come un cancro sull’intera famiglia che ha un malato di Alzheimer da accudire. Insomma è un travaglio lungo e difficile, dove il sistema sanitario è assente o quasi, dove c’è ancora molto da fare e da scoprire. Quasi, perché ci sono delle realtà alle quali si potrebbe approdare, ma soltanto per poco tempo e comunque non fino alla fine della vita del paziente portatore di demenza. Ed è assurdo, incredibilmente illogico. Te lo restituiscono quando sta meglio, quando in un certo qual modo, con l’esperienza e la notevole professionalità di personale specializzato, come quello incontrato al centro Karol di Villabate, a Palermo, il tuo caro ha trovato un seppur precario equilibrio, e anche i familiari che, dopo tanto tempo, sembrano aver ritrovato una dimensione di accettazione per proseguire a vivere, a lavorare e perfino a sperare. Sì, quella speranza che crea energia al flusso della vita.
Si parla sempre di buona sanità, di assistenza, di sinergie positive basate sull'umanizzazione dei servizi, ma incontrarle è come cercare un’oasi nel deserto, un ago in un pagliaio. E lo scrivo con cognizione di causa, perché prima di approdare in questo Centro, abbiamo subito mortificazioni soprattutto per inadeguatezza umana.
Alla Karol RSA si propone uno stile di vita e di servizio che punta essenzialmente sulla qualità di vita delle persone affette da Alzheimer e altre malattie neurodegenerative, secondo regole morali di accoglienza e condivisione. Ma tutto questo purtroppo non è per sempre, ma solo per un anno. Un solo anno se va bene. E poi? E poi sei di nuovo abbandonato al tuo destino. E se non sei stato più che bravo a organizzare la tua vita ripiomberai nel tunnel dell’inferno in cui eri scivolato prima di incontrare questi angeli della sanità, sicuramente benedetti da San Giovanni Paolo II, che conobbe ed approvò il progetto. Non è vero che basta solo il denaro per quest’ assistenza, servono soprattutto, oltre che ad una buona dose di compassione, competenza e reale conoscenza della patologia delle demenze. Puoi pagare la migliore casa di riposo, sempre se hai i mezzi per farlo, ma se non è attrezzata per queste patologie, se non ha personale proporzionato al bisogno, e sufficientemente preparato e accogliente, non hai fatto nulla. Buona sanità?! Ma spiegatemi: che senso ha allungare la vita media degli uomini e poi non essere preparati ad affrontare un mondo popolato di anziani o peggio ancora di vecchi? Ho scoperto, e non è finta ingenuità, che la vecchiaia non è sempre saggezza e men che meno bellezza, non è quasi mai la nonnina delle favole e spesso sconosce la benevolenza. É vero, a volte è terribile, pesante da sopportare, brutta e anche cattiva. E peggiora la natura di chi si trova costretto all’assistenza senza le giuste competenze. E, forse, non ha accettato la dura realtà. Ma dietro a tutte queste storture - una vera croce! - un tempo c’erano una madre amorevole o un padre affettuoso, mani operose che ci hanno dato la vita, ora rugose, immobili e stanche. E occhi… un tempo vivaci che ora spenti guardano l’illogico.
E intanto che le emozioni, la tristezza, la malinconia sono diventate lacrime, vibrazioni, cuore vivo che pulsa, mani che cercano conforto nella solitudine, e rimpianti e malinconia… lascio che scivolino nella musica, dolce compagna di una notte agitata, insonne come tante altre, ma anche stellata e profumata d’estate.
Il mio umile modo di dirvi GRAZIE.
Marina De Luca
Per saperne di più visita il sito:
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