Camporeale è un piccolo comune del palermitano che, dopo il terremoto della valle del Belice nel 1968, ha subito un grande esodo e oggi conta circa 3.283 abitanti. Si trova tra Alcamo e Monreale. Vino e olio sono i fiori all’occhiello, ai quali si aggiungono le coltivazioni di frumento, la lavorazione del legno, un patrimonio zootecnico consistente e da quest’anno una Enoteca comunale nella quale sarà possibile degustare le specialità del territorio.
Camporeale, nota anche come “città del vino e del legno”, è profondamente ancorata alle tradizioni culturali legate a questi due elementi, e la storia di questo piccolo comune dell’entroterra palermitano, in un’area popolata sin dall’antichità da Greci, Punici, Romani, Bizantini, Arabi e Normanni, affonda le sue radici nelle tre maggiori coltivazioni che raccontano la storia del Mediterraneo: la produzione di frumento, quella olivicola e quella vitivinicola, con eccellenze note ed apprezzate a livello internazionale. Intorno a queste risorse si è evoluto il tessuto urbano e obiettivo dei Camporeale Days è proprio quello di raccontarle e promuoverle.
La manifestazione è rivolta a chi cerca produzioni agroalimentari e artigianali di nicchia, agli appassionati del turismo sostenibile e dei metodi di produzione tradizionali, biologici e salutari, a giornalisti e operatori del settore.
Ed eccomi finalmente a Camporeale. Lungo la strada tutta in salita verso il villaggio espositivo, nel corso principale del paese, incontro una mostra di moto e auto d'epoca. Sono stupita dall’organizzazione che appare impeccabile e dalla moltitudine di gente accorsa da Palermo e non solo. Si respira un’aria antica, intimamente amica, ridesta i ricordi dell’infanzia, ed è anche una bella giornata ottobrina. Il paese si mostra in tutta la sua vetusta semplicità, le case, tutte in fila le une accanto alle altre, sono antiche, basse e attorniate da pochi punti di riferimento: una chiesa, un bar e il belvedere. Le uniche attrazioni sono il Palazzo del Principe, il Museo Camporeale e il Santuario della Madonna dei Peccatori. Insomma, davvero poco per le straordinarie vallate che si ammirano dal lungo belvedere, dove lo sguardo cede al sogno. Ci accoglie il magnifico Baglio del Palazzo del Principe, sembra quasi vestito a festa, appare imponente.
Nelle varie isole tematiche ho potuto degustare apprezzabili vini e altri prodotti gastronomici come le marmellate, il miele e naturalmente pane e olio. Tanti i giovani camporealesi coinvolti nella manifestazione, molto sentita perché su quei punti espositivi raccontavano le loro fatiche, la storia delle loro terre, ma anche i successi ottenuti dalle loro aziende per l’intuizione di avere preferito coltivazioni biologiche. Sono giovani tutti d’un pezzo, che credono nella libertà come una conquista, hanno scelto di restare nel loro paese natio e stanno investendo la loro vita e le loro competenze lì dove sono nati. E mirano al lavoro per vivere e non viceversa. Alcuni mi hanno raccontato la loro storia, si sono laureati in Economia e Marketing, altri in Agraria e hanno deciso di spendere le loro professionalità nelle terre di famiglia, facendole diventare produttive e fonte di vita e lavoro. Come non provare ammirazione? In un’isola dove tutto sembra morto, dove l’unica speranza è quella di andare via, un paese di tremila abitanti circa offre una bella lezione di vita, di rinascita, di sano ottimismo. Certo non è sempre facile, non è una favola, i problemi ci sono e sono tanti, tuttavia la scelta di rimanere li onora e ci richiama alle buone iniziative, al saper fare, a costruire. Nel tempo della tecnologia, dove tutto è virtuale, perfino le amicizie, la visita a Camporeale è stata un ricongiungersi con la verità, con la natura, con antichi profumi, con il cibo genuino, salutare, biologico appunto. E con gente spontanea, dai sentimenti semplici, ma con l’intelligenza tipica di chi ha imparato da sé.
Marina De Luca
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