Scrivere opinioni in questi tempi di totale assenza di ideali e sogni, ingenera confusione, condanna senza repliche e nuoce alla salute, almeno alla mia. Meglio rifugiarsi nella lettura, un metodo più efficace per riflettere anche attraverso la visione degli altri.
Seta è il romanzo breve di Alessandro Baricco che narra la storia di Hervé Joncour, un giovane di 32 anni che si ritrova a svolgere un lavoro che, pur essendo banale, lo porterà alla notorietà e alla conoscenza di un mondo e di una cultura completamente diversi da quello in cui vive. Risiede, infatti, in un piccolo paese francese di metà Ottocento, Lavilledieu, di cui farà la fortuna economica grazie al commercio di uova di bachi da seta. Un’occasione che lo porterà a viaggiare e a conoscere la cultura orientale, ma che tuttavia non sfrutterà appieno lasciandolo osservare la vita come uno spettatore inerme, insignificante e lento. Lento e ripetitivo come il racconto di Baricco, che non mi ha molto entusiasmato, per la verità! Solo sprazzi di poesia e voli di libertà, come la simbolica voliera aperta, ma sempre interrotti dalla mancanza di coraggio del protagonista. E, pur avendo compreso il messaggio che il racconto lascia alla fine con sorpresa, ho trovato che proprio l’ultima parte, la più significativa, che avrebbe dovuto avere espressioni poetiche e perfino una necessaria sofferenza narrativa, volta appunto a richiamare o forse svegliare i sentimenti di Hervé e anche quelli del lettore, è al contrario veloce e si conclude lasciando il lettore, in questo caso me, con una sensazione di vuoto e di irrisolto. E un protagonista rassegnato a vivere il resto dei suoi giorni senza colore. Sono certa di essere una voce fuori dal coro, ma è la mia recensione. Seta è stato definito in molti modi, ma sempre con toni piuttosto entusiastici. A me, invece, è sembrata una bella fiaba, immersa in un universo dolce e fantasioso, ma senza passione, condizione indispensabile per dare senso alla vita. Penso che un libro per essere considerato bello oltre ad essere scritto bene deve trasmettere qualcosa. Quel qualcosa, come i sentimenti inespressi e mai vissuti da Hervé, che sono rimasti intrappolati nella seta, o che spesso ci scivolano via come la seta dalle mani. A spingermi alla lettura del romanzo, tradotto in rappresentazione cinematografica, commenti trascinanti; qualche frase letta qua e là che evidentemente ha fatto breccia su di me perché rivelatrice di profonde verità. E un titolo accattivante e delicato, così come la copertina, che genera il bisogno di tenerezza e la voglia di carezze, proprio come la seta, per far cadere i problemi senza troppo rumore, in un batter d’ali.
Marina De Luca
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