«Il “Don Giovanni” è un’opera impegnativa, molto difficile, con certi tranelli musicali particolari, in cui tutto deve funzionare: è una scalata fino alla fine, non c’è un momento in cui si possa allentare la tensione». Non ha dubbi sul suo prossimo lavoro Stefano Romani, il direttore che il 4 agosto alle 21.30 impugnerà la bacchetta per guidare l’Orchestra del Taormina Opera Festival per il debutto al Teatro Antico, che accoglierà una nuova messinscena del capolavoro musicato da Wolfgang Amadeus Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte. Un originalissimo allestimento, pensato e firmato dal grande regista e scenografo Enrico Castiglione, che si riconferma deus ex machina di importanti produzioni operistiche, acclamate a livello internazionale.
Dopo lo straordinario successo riscosso lo scorso 15 luglio con “Carmen”, tramessa in diretta mondovisione nei cinema, in un Teatro Antico tutto esaurito adesso è la volta del libertino Burlador, protagonista del melodramma “Il dissoluto punito o sia Don Giovanni”, inserito da Castiglione all'interno del Taormina Opera Festival, insieme all’eroina di Bizet e al “Barbiere di Siviglia” di Rossini, per formare una particolare “trilogia", dedicata alla città andalusa che è sullo sfondo di tutti e tre i soggetti.
Le altre repliche di “Don Giovanni” sono previste il 9 e il 12 agosto. Sul quel palco suggestivo, che si apre sullo Jonio e sul mitico vulcano Etna, si esibiranno il basso-baritono tedesco di origini greche Iconomou Panajotis nel ruolo del titolo, il basso Enrico Rinaldo (il Commendatore), il soprano Chiara Taigi (Donna Anna), il tenore Filippo Pina Castiglioni (Don Ottavio), il soprano Dafne (Donna Elvira), il basso Colin Noe (Leporello), il basso Daniele Piscopo (Masetto), il mezzosoprano Marina Ziatkova (Zerlina). Gli interpreti si ammanteranno dei nuovi costumi creati da Sonia Cammarata, che per l’occasione ha voluto ricreare le coloratissime atmosfere libertine settecentesche.
Sul podio Stefano Romani, che dopo aver studiato, tra gli altri, con i maestri Descev e Pradella, ha intrapreso l’attività nei primi anni ’90 come direttore principale de “I filarmonici” di Rovigo. Anche a Taormina darà come sempre le spalle al pubblico, ma si rivolgerà verso quello scorcio di cielo e mare tra i più suggestivi al mondo…
Maestro Romani, è la prima volta che dirige al Teatro Antico?
«Sì, e sicuramente farlo in luogo così magico e coinvolgente sarà un momento molto importante della mia vita. Penso che quella sera non sarò solo sul podio, mi faranno compagnia tutti i personaggi del mito che hanno abitato queste coste, sin dalla primitiva scrittura di Omero».
Lei ha già lavorato con Enrico Castiglione: quale rapporto ha instaurato con questo prestigioso artista e scenografo?
«È la seconda volta che collaboriamo: insieme abbiamo debuttato a Skopje in Macedonia per la messa in scena “Adriana Lecouvreur” di Cilea, protagonista Giovanna Casolla. Castiglione ha la particolarità di iniettare giovinezza e freschezza in ogni allestimento che concepisce, pensando sempre a soluzioni particolari ed inedite. Non è un caso che riesca a proiettare tutto in mondovisione: il pubblico ha necessità di assaporare qualcosa di innovativo, ma che sia tradizionale al contempo».
Qual è la sua peculiare lettura del “Don Giovanni” di Mozart?
«Intendo dare risalto a quello che Mozart ha pensato nell’evidenziare le varie situazioni più movimentate ed interessanti, rispettando il più possibile il testo e le indicazioni musicali dettate dal sommo Salisburghese. Molti anni di attività accanto a grandi maestri - di vita e di musica, fra i quali ricordo il grande Peter Maag - mi hanno portato a capire quanto sia importante cercare un suono particolare che sicuramente, se ben interpretato, si attagli alla perfezione alle linee e alle caratteristiche di tutte le situazioni e di tutti i caratteri dei personaggi. Ritengo che Mozart sia stato quasi unico nel ricercare queste sfaccettature: insomma, affrontarlo non è facile e solo dopo approfonditi studi e significative esperienze musicali si può raggiungere una consapevolezza nell'esecuzione».
Il libertino Don Giovanni passa la vita a sedurre donne. L'elenco di quelle da lui conquistate nel girare il mondo è conservato da Leporello sul suo celeberrimo “catalogo”…. Scavando dentro questa superlativa partitura, cosa le piace evidenziare?
«Mi piace definire il “Don Giovanni” molto attuale: rispecchia molto la dissolutezza dei tempi moderni, ma il suo vibrato vitale, gioioso e allegro lo destinerà ad essere immortale».
«Questo è il fin di chi fa mal: e de' perfidi la morte alla vita è sempre ugual»: il “Don Giovanni” ci affascina anche per quel dilemma legato alle due “versioni”: la praghese e la viennese. Quale dei due finali predilige e quale verrà rappresentato al Teatro Antico?
«Senza dubbio si darà vita alla versione di Vienna, che trovo più completa. Chiudere con il sestetto, il momento affidato alla “morale”, mi sembra sia più adatto alla modernità, tempo di ansie e angosce particolari, di un’umanità che è costretta ad agire senza il senso del divino, che ha perso la direzione. È giusto, quindi, avvicinare il più possibile il pubblico al giudizio etico sul personaggio».
C’è una frase o un momento dell’opera che giudica emblematico e che, secondo lei, può riassumere il senso dell’intera creazione?
«Un momento che trovo veramente importante e capitale, non solo dell’opera in sé, ma anche della storia della lirica in generale, è il proprio il finale viennese, quasi catartico, quando Don Giovanni non risolve la contesa col Commendatore ma discende all’inferno in mezzo al coro delle anime dannate. Qui secondo me è racchiuso tutto il significato di questo capolavoro: la stupidità dell’uomo incontentabile, privo di umiltà che non riesce a piegarsi nemmeno di fronte alla morte».
Lei ha diretto titoli celeberrimi, tra i quali “Nabucco”, “Rigoletto”, “La traviata”, “Il trovatore”, “Il barbiere di Siviglia”, “Don Giovanni”, “Tosca”, “Madama Butterfly”, “La bohème”, “Carmen”. Come ha costruito il suo repertorio di elezione?
«Ovviamente, come si evince da questi capolavori, continuo ad eseguire opere appartenenti al grande repertorio tradizionale. A formare la storia della lirica sono queste partiture straordinarie, che in ogni luogo e in ogni tempo risultano immortali».
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