Di Anton Čechov
Con Vinicio Marchioni, Francesco Montanari,
e con Lorenzo Gioielli, Milena Mancini, Alessandra Costanzo, Nina Torresi, Andrea Caimmi, Nina Raia
Luci Marco Palmieri – Scene Marta Crisolini Malatesta – Costumi Milena Mancini e Concetta Iannelli
Musiche Pino Marino
Regia Vinicio Marchioni
Produzione Khora Teatro
Zio Vanja (Djadja Vanja) è un dramma dell'autunno 1896 o 1897 di Anton Pavlovič Čechov. È considerata una delle sue opere più importanti, la seconda dopo “Il gabbiano”. In questa regia dello stesso protagonista Vinicio Marchioni, la visione della società odierna è impietosa, ma puntuale e veritiera nella descrizione della perdita di valori, confusa e disorientata da situazioni governate da forze occulte, ma potenti; emerge l’insoddisfazione, l’insicurezza, l’inadeguatezza e l’opportunismo. I conflitti d’interesse e la volgare gestione della natura e della sua bellezza influisce sulla vita sempre più grigia della società che si sta imbarbarendo.
La scena di Marta Crisolini Malatesta, talvolta appare come una quadro verista ed i colori dominanti sono opachi, senza troppa speranza, salvo alcuni bagliori di rosso tra i costumi perfettamente adeguati di Milena Mancini e Concetta Iannelli; dietro un sipario datato, ma che per il colore viola contrasta con le credenze teatrali di un tempo, sullo sfondo si staglia un cumulo di macerie non ancora rimosse dopo il terremoto. Sopra alle macerie si erge un albero (forse un rimando al giardino dei ciliegi?) ricco di fiori al primo atto, ma che si sguarnisce al secondo, restando spoglio, così come spogliati di volontà e fiducia sono i personaggi che si muovono tra le note calzanti delle musiche di Pino Marino.
Veniamo agli interpreti: Vinicio Marchioni, zio Vanja, è un mattatore che affronta il ruolo con convinzione e forte immedesimazione e trasmette le stesse motivazioni alla compagnia che dirige con il piglio sicuro del solido professionista; Il suo ruolo non è compito facile, ciò nonostante sa rendere molto bene l’amarezza di un uomo frantumato ed impossibilitato ad amare che non può rinnegare il difficile tempo passato ed il rimpianto di una vita vissuta a metà. Troviamo un ottimo Francesco Montanari nel ruolo del medico frastornato tra un amore impossibile ed il conflitto tra il desiderio di vivere in un mondo pulito e verdeggiante e la realtà inconfutabile. In quel back stage di teatro reso poetico dalle luci disegnate da Marco Palmieri con efficacia pittorica, Elena, interpretata con carattere ed eleganza da Milena Mancini, vive sospesa nel deserto di noia come questo che interrompe lasciandosi andare a furtivi ed illusori baci con il medico.
La commedia inizia con la voce da una radio che commenta i devastanti postumi di un terremoto con cantieri non partiti, macerie non rimosse dove esiste una nebbia crescente al posto dei desideri; Marina, l’anziana domestica e sarta cuce con un verismo impressionante e la sua interprete Nina Raia è efficace in ogni momento della narrazione.
Lorenzo Gioielli è perfettamente calato nel ruolo del vecchio professore lamentoso e malandato che però tiene un occhio agli affari cercando di volgerli a suo favore, con un vago sostegno da parte della madre della prima moglie interpretata con classe da Alessandra Costanzo. Il povero Telegin trova in Andrea Caimmi un caratterista persuasivo e convincente. La commedia è finita e la conclusione spetta alla giovane Sonja che accovacciata al fianco di Vanja e lasciato in disparte l’iniziale accanimento contro la distruzione degli uomini, i cavalcavia che crollano, i ponti instabili per paura, povertà e politica inefficace evocati dal dottore, lancia un accorato grido di speranza per un futuro migliore che può comunque risorgere anche dalle macerie innegabili dell’oggi: Nina Torresi è la dolce, ma determinata interprete di Sonja, cui il regista ha affidato l’esortazione alla fiducia con l’invocazione e l’evocazione di una soluzione che l’uomo può e deve trovare.
Renzo Bellardone
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