Perché non bruci, oh città mia?
Un inferno riparatore, una mattanza
che di sangue e cenere
poi ripari, lavi via
ogni miseria
come le sue alte pance
gonfie sudate.
Le tue giovani donne
intrecciano amore altrove
così come le tue menti migliori,
primizia di creatività
tanto antica - così rara,
sono costretti alle navi
ad altre lingue, a un cimitero
di lontananza nel cuore -
mentre altri, piuttosto,
vanno e poi stanno
in un sospiro di sollievo.
Chi invece da questo sole
sotto la pelle nelle vene
non sa, non conosce
soluzione, nati
già arresi
o vento di rimpianto
nel filo spinato,
reclinano il capo
ritornano alla guerra
tra poveri
per qualcosa appena di pane
una parvenza di dignità.
Donna, irresistibile
e tormentosa, porto
di ruggine e botole oscure,
siamo lontani qui
dalla gioia
di essere protagonisti
della tua bellezza
risorta come fenice
da decenni, secoli
tempi immemori
di sottomissione ignara
a un potere sordo,
spietato marcio e corrotto –
forze oscure
nei cunicoli delle strade
e tra le loro pieghe
e nei palazzi sue donne
per una manciata di denari,
da sempre.
Palermo, mia rosa
e mio tormento,
ancora un leone,
bontà coraggiosa,
ti ha camminato
e con te ha mangiato:
ridestati
trova l'uscita: cada
sui semi di inquietudine
dei tuoi germogli
una luce nuova,
una passione di mille corpi
insieme
come un canto contrario
e definitivo. Una primavera
senza declino
a cancellare ogni siccità.
Matteo, postino ctd
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