Quando si parla di penicillina, emerge il nome di Alexander Fleming, lo scopritore di quella che certamente è stata ed è tra le molecole più importanti nella storia della Medicina. Riceverà il Premio Nobel nel 1945, con l’australiano Howard Florey e il tedesco Ernst Chain che contribuirono a trasformare la muffa “Penicillium notatum” in farmaco. Tuttavia, senza risalire ai medici cinesi che duemila anni prima curavano le ferite con latte ammuffito, la scoperta della penicillina trova nello scienziato italiano Vincenzo Tiberio il suo vero pilastro. Tiberio non fu fortunato come Fleming, tra l’altro morì molto giovane, a 46 anni (7 gennaio 1915). Nato il 1° maggio 1869 a Sepino, nel Molise, si laurea ad appena 22 anni. Subito dopo è nominato assistente presso l’Istituto di Patologia speciale all’Università di Napoli, diretto da un altro grande medico, Arnaldo Cantani. Già nel 1895 pubblica su “Annali d’Igiene sperimentale” il lavoro di ricerca “Sugli estratti di alcune muffe”. Si arruola nella Regia Marina con il grado ufficiale medico di seconda classe e si adopera per migliorare le condizioni igieniche sulle navi, gettando anche le basi per una sana e corretta alimentazione degli equipaggi. Si occupa di malattie coloniali - in particolare malaria e beri-beri - curate con china, ferro e liquore arseniacale. Importanti anche gli studi sulla ventilazione e il riscaldamento da termosifone a bordo. Il terremoto di Messina del 1908 lo vede tra i protagonisti nell’opera di soccorso. Ma come giunse a scoprire il nesso tra muffe e guarigione da malattie infettive? Ancora studente, si era accorto che quando gli zii pulivano una cisterna, l’acqua non era più potabile, anzi diventava veicolo per l’insorgenza di pericolose infezioni intestinali. Il suo genio aveva intuito che, appunto, doveva esistere un legame tra l’eliminazione delle muffe che si accumulavano sulle pareti e la comparsa di malattie. Quando le colonie si riformavano, i problemi di salute cessavano. Come quasi sempre accade, i risultati delle sue osservazioni, intuizioni e conclusioni non sortirono l’effetto sperato. Solo nel 1947, l’ufficiale medico di Marina Giuseppe Pezzi riscoprì i suoi lavori e li diffuse. Non sempre genio e impegno conducono subito alla fama e alle soddisfazioni economiche. Come già specificato, occorre anche fortuna, tanta fortuna.
Giuseppe Pitrone
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