Nei giorni scorsi è apparso su facebook un appello: “Diteci come dobbiamo difenderci quando andiamo a fare la spesa e vediamo pomodori bellissimi come quelli della foto. Ditecelo presto!”
Carissimi amici campani, mi dispiace tantissimo, ma non ve lo diranno e, men che meno, presto. Perché, al momento, non c’è risposta. Per decenni, rifiuti tossici industriali di altissima pericolosità sono stati interrati da organizzazioni criminali. Sono, o dovrebbero essere, tonnellate su tonnellate. Quante, con esattezza, probabilmente non lo sapremo mai. Una tragedia ambientale di proporzioni immani. Lo Stato avrebbe dovuto garantire il trasporto di tali veleni dai luoghi di produzione a quelli di smaltimento. Garantire sotto strettissima scorta armata, sia con mezzi terrestri che con elicotteri. Invece, pare che i controlli siano stati deboli o addirittura inesistenti. Tant’è che alcune ditte, o forse tutte, incaricate a tal proposito, erano sotto il dominio della camorra. E che cosa hanno fatto i camorristi? Semplice: hanno scavato buche e sotterrato le summenzionate porcherie. Con, suppongo, guadagni altissimi e costi pari pressoché a zero. Altro che smaltimento!
Pesanti responsabilità dovrebbero ricadere, inevitabilmente, credo, sui ministri dell’Ambiente e dell’Agricoltura, sulle autorità periferiche e sulla magistratura che non avrebbero vigilato con la dovuta attenzione, per usare parole che trasudano miele. Ma è tempo perso. So soltanto che oggi una fetta d’Italia è compromessa, dal punto di vista produttivo e ambientale. E così resterà per decenni. Non solo per la cronica strafottenza di chi dovrebbe provvedere, ma anche perché la bonifica appare oggettivamente di difficile soluzione. Nel frattempo, molti coltivatori continuano a produrre frutta e ortaggi. Che finiscono sui mercati e sulle tavole campane e non. A difendere la salute ambientale e umana, in questi anni solo don Patriciello, il sacerdote della cosiddetta “terra dei fuochi”, quello che fu rimproverato da un prefetto della Repubblica nel corso di una riunione. Aveva commesso, lui, un reato gravissimo. Naturalmente a parere di sua eccellenza. Quale? Essersi risvolto a un altro prefetto, donna, con il titolo di “signora”. Questi i fatti. Soluzioni? Come tecnico, non ne vedo alcuna. Anche se ci fossero ferrea volontà politica e mezzi economici illimitati, il disastro appare di tali proporzioni da risultare molto ostico. Se, poi, mancano e mancheranno, come prevedibile, sia l’una sia gli altri, la risposta è scontata. Sempre dal punto di vista tecnico, rimuovere il terreno non appare intervento fattibile. Tra l’altro la natura delle sostanze tossiche è avvolta dal mistero. In ogni caso, rimuoverlo per depositarlo dove? L’unica alternativa è vietare le coltivazioni e mettere a dimora alberi che non producono frutti commestibili. E lasciare fare alla Natura che, nel corso di decenni, potrebbe riparare i danni procurati da autentici criminali di ogni genere. Nel frattempo, però, di cosa dovrebbero vivere gli agricoltori? Di aiuti economici statali? Nutro fortissime perplessità. Da qualsiasi punto si possa guardare la vicenda, appaiono ostacoli di enorme portata. E dunque? E dunque, verosimilmente, si troverà qualche soluzione all’italiana: poco chiasso, qualche provvedimento di cosiddetta bonifica e speranza che la gente non ci faccia più caso. Anche se risultano preoccupanti casi di malattie letali nella zona in questione. Ma qualcuno ha sostenuto che i Campani mangiano male, fumano troppo e fanno poco sport. Insomma i tumori non sarebbero causati da prodotti avvelenati e da acqua inquinata, ma da cattivi stili di vita. E, allora, perché preoccuparsi tanto?
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