Victor Henry Elford: il Rapido, il Veloce, il Fulmine. Così era ed è soprannominato. A giusta ragione. Per me, era semplicemente ‘u pacciu, il pazzo. In senso buono e rispettoso, per intendere coraggio innato e sovrumano, tenacia irriducibile, tecnica di guida irruenta e pur efficacissima. Con un monopattino o una Porsche 917, il risultato era sempre lo stesso: emozioni. Vic Elford è nato per regalare emozioni, per fare arrivare il cuore in gola, per urlare la gioia di vedergli fare evoluzioni ad altri impossibili. Non ricordo più l’anno, comincio a invecchiare, ma sogno spesso quel triplo sorpasso subito dopo i box di Floriopoli. Ancora adesso non riesco a comprendere come abbia fatto a superare la terza vettura, in piena curva e all’esterno, senza uscire di strada. Vedo il polverone sollevato dalle due ruote di sinistra sulla terra, arrivo trafelato temendo il peggio, e invece era già volato via in direzione di Cerda. Un fenomeno! Una Targa senza Elford non era Targa, lo affermo senza timore di essere smentito e senza offesa verso gli altri campioni che l’hanno resa immortale.
Nasce a Londra, il 10 giugno 1935. Nel 1949, il padre lo porta a vedere un Gran Premio. Vic resta letteralmente affascinato e, appena adolescente, prende una decisione irrevocabile: diventerà un pilota professionista. Mai decisione fu più felice! Ha corso ovunque, ha guidato innumerevoli vetture, ha vinto moltissimo. E tuttavia i risultati prestigiosi non gli hanno dato, a mio parere, il giusto riconoscimento: avrebbe meritato infinitamente di più, per esempio in Formula Uno. Esordisce nei rally e inizia a fare conoscere bene agli avversari il suo nome. Vince il Campionato europeo della specialità nel 1967, nel 1968 conquista il Montecarlo, la gara più difficile e prestigiosa. Diventa pilota ufficiale della Porsche e fioccano le prime vittorie. Sempre nel 1968, tre trionfi leggendari: 24 ore di Daytona, Targa Florio e 1000 chilometri del Nurburgring. In quest’ultima gara vincerà ancora, nel 1970 con Kurt Arhens, e nel 1971 con Gerard Larrousse. Nello stesso 1971 e sempre in coppia con il francese, taglia vittorioso il traguardo alla 12 ore di Sebring. In prova o in gara, con il solleone o con la pioggia, per lui era lo stesso. In Targa ha sempre fatto le classiche cose turche. La vittoria ottenuta con Umberto Maglioli nel 1968 resterà una tra le pagine più spettacolari scritte nella lunga avventura iniziata nel 1906 per merito di Don Vincenzo Florio.
Era il 5 maggio, un giorno di scirocco come pochi. Ci si mette anche la sfortuna, sotto forma di una foratura e altre noie. Guida ininterrottamente negli ultimi tre giri, recupera un forte svantaggio e insegue come un forsennato Nanni Galli che sente già odor di vittoria. Niente da fare, Vic ha il diavolo in corpo. Stabilisce, come sua abitudine, il record sul giro (36’02’’3, media 119,872 km/h) e porta la sua Porsche 907 a sfrecciare per prima sul traguardo. Non dimenticherò mai l’espressione del volto! Si stentava a riconoscerlo, la fatica lo aveva veramente messo a dura prova. Vic Elford, però, guidava così, non si risparmiava mai. E, con Vaccarella, è stato il campione più amato dagli appassionati siciliani. Vederlo rappresentava e continua a rappresentare sempre una gioia immensa. Ma Elford non è solo un pilota leggendario, soprattutto un uomo buono e altruista. Il presidente francese Georges Pompidou lo ha nominato Chevalier de Ordre national du Mérite per il coraggio e l’eroismo dimostrati in una tragica occasione: 24 ore di Le Mans 1972. Jo Bonnier, altro indimenticabile interprete della Targa, guida una Lola-Ford Cosworth. La Ferrari GTB4 Daytona dello svizzero Vetsch gli crea problemi dopo la curva di Mulsanne. L’impatto è inevitabile. Jo è sbalzato fuori, privo di vita. La Ferrari s’incendia. Giunge l’Alfa 33 di Elford. Vic si ferma, crede che il collega sia ancora nell’auto e tenta in ogni modo di prestare soccorso. Si getta tra le fiamme, rischia moltissimo, ma non si risparmia, si arrende solo di fronte all’evidenza: Vetsch è salvo, Bonnier morto. Ancora un altro edificante episodio che lo riguarda: qualche giorno prima della 57^ edizione della Targa (1973), sul rettilineo di Buonfornello si scontrano due macchine: la Lancia Fulvia del pilota inglese Charles Blyth e la Fiat 1100 di Antonio Guagliardo. Blyth muore e Vic fa rimpatriare a sue spese la salma del connazionale. Ecco, l’uomo Elford. L’uomo e il campione si fondono mirabilmente, meritando entrambi l’affetto e la stima dei tifosi di tutto il mondo. Anche a te, Vic Quick: ancora tanti anni di vita serena! E grazie per le emozioni che ci hai donato.
Elford al volante di una Porsche 908
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