Chi a Palermo non ha mai sentito parlare della sua (ormai semi scomparsa) Conca d’Oro, formata da estesi agrumeti e da rocce dorate?!
Sì, perché non è solo grazie ai limoni che dobbiamo l’origine di questo nome, ma anche al particolare tipo di roccia che si estrae dal sottosuolo della nostra città, la Calcarenite, comunemente chiamata Tufo, benché il termine sia in realtà improprio.
Questa roccia, composta principalmente da sedimenti calcari (che le tengono unite), sabbia e frammenti di fossili, si è formata Ere fa, nel Pleistocene inferiore durante i periodi di glaciazione e quelli di scioglimento dei ghiacciai in cui avevamo fasi di arretramento ed avanzamento della linea di riva.
Qui questi sedimenti, in base alle differenti circostanze ambientali del deposito che poteva anche essere di tipo fluviale, presentano sotto l’aspetto composizionale, tessiturale e diagenetico caratteristiche variabili, che danno luogo a due differenti tipi di Calcarenite, quella bianca e quella gialla, la più abbondante.
In queste ultime, che possono essere a grana fine e ben cementata o a grana grossa in cui si distinguono facilmente i singoli granelli di sabbia che spesso si staccano, è facile ritrovare diversi fossili, come le conchiglie del Pecten (una grossa capasanta), e frammenti di corallo, testimonianza del passato marino di queste rocce.
Figura 1 Blocco calcarenite con conchiglia Pecten
Si tratta, quindi, di una roccia calcarea a base di sabbia quarzosa e non di una roccia vulcanica come è in realtà il vero tufo.
Grazie agli scavi archeologici, sappiamo che la calcarenite veniva estratta a Palermo fin dai tempi dei Fenici, i primi colonizzatori. Inizialmente, le estrazioni avvenivano in aree come la Fossa della Garofala, mentre in epoca araba si estesero anche alle aree esterne della città, come le pendici del Monte Pellegrino e l’area di Bagheria, (Montana, G. (2012). Il "tufo calcareo" di Palermo e dintorni) dove alcune cave sono ancora visibili.
Figura 2 Pozzo artesiano in calcarenite
Per la sua estrazione, o per utilizzare il gergo dei cavatori, per la sua “coltivazione” si procedeva secondo due metodologie: a cielo aperto e in sotterraneo.
Nella coltivazione a cielo aperto, la pietra, una volta individuata l’area, veniva estratta strato dopo strato partendo dalla superficie per arrivare in profondità. Nell’estrazione in sotterraneo, si scavavano pozzi dai quali si estendevano gallerie per estrarre i blocchi di pietra, con immensi pilastri costruiti per evitare crolli.
I blocchi estratti venivano destinati a differenti usi in base alla loro dimensione e composizione. I blocchi più grandi, chiamati “balatoni”, venivano utilizzati per le fondamenta degli edifici, mentre i più piccoli, chiamati “testette”, per gli strati superiori.
Figura 3 Possiamo notarla a vista in moltissimi palazzi del centro storico
Ed è con questa roccia che Palermo da più di 2500 anni si è adornata, utilizzandola per costruire palazzi, muri ed edifici, la “dorata pietra di kiddan” per citare il mercante arabo Ibn Gubayr, che visitando nel 1184 Palermo, rimase meravigliato dallo splendore dei palazzi cittadini.
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