Debutta al Teatro Biondo di Palermo, martedì 14 dicembre alle ore 21.00, Fronte del porto, adattamento teatrale di Enrico Ianniello, diretto da Alessandro Gassmann, del celebre film di Elia Kazan interpretato da Marlon Brando.
Protagonista dello spettacolo, prodotto dal Teatro Biondo e dal Teatro Bellini di Napoli, è Daniele Russo, al suo fianco: Emanuele Maria Basso, Renato Bisogni, Antimo Casertano, Antonio D’Avino, Sergio Del Prete, Francesca De Nicolais, Ernesto Lama, Biagio Musella, Manuel Severino, Pierluigi Tortora, Bruno Tràmice.
Le scene sono dello stesso Gassmann, i costumi di Mariano Tufano, le luci di luci Marco Palmieri e le musiche di Pivio e Aldo De Scalzi.
Repliche fino al 19 dicembre.
Attore, scrittore, traduttore e regista non nuovo a esperienze di trasposizione scenica di opere cinematografiche, Enrico Ianniello ha immaginato la storia a partire dall’omonima opera dell’americano Budd Schulberg (a sua volta ispirato da un’inchiesta giornalistica dell’epoca, diventata la base della sceneggiatura del film che vinse otto oscar nel 1954) e dall’adattamento teatrale realizzato, in seguito, dall’inglese Steven Berkoff.
Alessandro Gassmann, dopo lo straordinario successo di Qualcuno volò sul nido del cuculo, ha costruito ancora una volta uno spettacolo ispirandosi al cinema. Il suo Fronte del porto ci trascina nella Napoli degli anni 80 giocando, dal punto di vista formale, con i film poliziotte-schi, dalle musiche ai colori sgargianti della moda, con i riferimenti culturali di quegli anni in cui, come afferma Ianniello: «la città stava cambiando pelle nella sua organizzazione criminale, gli anni del terremoto, gli anni di Cutolo. Anni in cui il porto era sempre di più al centro di in-teressi diversi, legali e illegali».
Sulla scena la storia prende vita tra la baraccopoli di Calata Marinella, la Chiesa del Carmine, il Molo Bausan, la Darsena Granili e l’avveniristica Casa del Portuale di Aldo Rossi. Uno spet-tacolo che restituisce la forza della storia facendoci immedesimare nelle intense e rabbiose re-lazioni tra i personaggi che la popolano, raccontate con la cifra inconfondibile di Alessandro Gassmann, che sottolinea: «Come già avvenuto per Qualcuno volò sul nido del cuculo, anche in questo caso la scelta è caduta su un testo ed una tematica che mi coinvolgono profonda-mente e che portano verso una ricerca di libertà faticosa. Ricostruiamo la vita del porto, le vite degli operai, i loro aguzzini, attaccandoci ai suoni, ai rumori, ai profumi ed alla lingua di que-sta città».
Note dell’autore
Il porto di Napoli come il porto di New York? Come sostenere questa analogia teatralmente? Riflettendo su questa domanda, mi sono imbattuto in un film del 1979: La Camorra sfida. La città risponde. Lì, il proprietario di un piccolo cantiere nautico reagisce al taglieggiamento im-posto da un clan. Le ambientazioni sono quelle proprie dei porti, con grandi capannoni per il rimessaggio, magazzini, piazzali e profili di grosse navi sullo sfondo. Il ritmo è sostenuto, la musica molto presente, i colori vivaci. Tutto assai distante dal film di Elia Kazan, certo. Eppu-re nel primo adattamento per il teatro di Steven Berkoff su cui mi sono basato – così come nei poliziotteschi napoletani di quegli anni – la presenza della musica è preponderante, gli stacchi tra le scene sono sempre sottolineati da un brano che porta avanti l’azione rompendo l’unità di tempo e di luogo, le dinamiche interpersonali sono riportate a un livello quasi bidimensionale, da tableau vivant.
Ecco allora l’idea che mi ha mosso in questo nuovo adattamento: fondere queste esperienze e trasferire Fronte del Porto nella Napoli dei primi anni ’80 per giocare – dal punto di vista for-male – con le musiche di quei film, con i colori sgargianti della moda casual di quegli anni, con i riferimenti culturali di quell’epoca (giusto per citarne uno: l’oro alle olimpiadi di Mosca di Patrizio Oliva, sicuramente un modello per il nostro protagonista), e con una lingua napoletana che in quei film si va italianizzando per darsi una veste di dignitosa comprensibilità nazionale senza perdere il proprio carattere e il proprio bagaglio espressivo. Era quella, inoltre, un’epoca in cui la città stava cambiando pelle nella sua organizzazione criminale; gli anni del terremoto, gli anni di Cutolo. Anni in cui il porto era sempre di più al centro di interessi diversi, legali e illegali.
Mi è infine venuta incontro la rispondenza geografica, che è per me – fin dai tempi di Chiòve – un’importante cartina di tornasole sulla congruità dell’adattamento. La nostra storia allora si sviluppa coerentemente tra Calata Marinella e la sua baraccopoli, la Chiesa del Carmine, il mo-lo Bausan, la Darsena Granili, l’avveniristica Casa del Portuale di Aldo Rossi (la cui costru-zione termina proprio nel 1980). E, purtroppo, non è stato necessario inventarsi nulla per resti-tuire credibilmente le storie di caporalato, soprusi e gestione violenta del mercato del lavoro in quello specchio della città che è il nostro Fronte del porto.
Enrico Ianniello
Note di regia
Credo che in questo momento, in questo Paese, non ci sia storia più urgente da raccontare di Fronte del porto. Una comunità di onesti lavoratori sottopagati e vessati dalla malavita orga-nizzata trova, attraverso il coraggio di un uomo, la forza di rialzare la testa e fare un passo ver-so la legalità, la giustizia, la libertà.
Ho chiesto ad Enrico Ianniello di spostare l’azione originariamente ambientata negli Stati Uni-ti degli anni 50, in una Napoli degli anni 80, dove la camorra era organizzata e presente tra gli operai del porto industriale.
Come già avvenuto per Qualcuno volò sul nido del cuculo, anche in questo caso la
scelta è caduta su un testo ed una tematica che mi coinvolgono profondamente e che portano verso una ricerca di libertà faticosa. Abbiamo ricostruito la vita del porto, le vite degli operai, i loro aguzzini, attaccandoci ai suoni, ai rumori, ai profumi ed alla lingua di questa città. Cerco sempre di ricostruire mondi credibili nei miei spettacoli, pensando ad ogni tipo di pubblico, nella convinzione che ora come non mai il teatro debba essere arte popolare, di difficile esecu-zione ma di semplice fruizione.
Alessandro Gassmann
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