Doppio appuntamento con lo spettacolo Via Crudex - Cantico della minaccia di Rosario Palazzolo, sabato 30 alle 21.00 e domenica 31 ottobre alle 17.30, nella Sala Grande del Teatro Biondo di Palermo, nell’ambito della VII edizione del “Festival delle Letterature Migranti”, di cui il Teatro Biondo è partner.
In scena gli allievi della “Scuola di recitazione e professioni della scena” del Biondo: Gaia Bevilacqua, Beatrice Boccali, Sonia Bongiovanni Tabita, Francesco Buccheri, Lia Ceravolo, Anka Barešić, Lorenzo Davì, Emanuele De Castillo, Ginevra Di Marco, Monica Granatelli, Giorgia Indelicato, Brenda Liotta, Vincenzo Palmeri, Dario Pensabene Bellavia, Chiara Peritore, Marcello Rimi, Emanuele Russo.
Lo spettacolo, che rientra nel progetto Squarci d’autore, è frutto del coinvolgimento degli studenti delle scuole superiori di Palermo e provincia, chiamati a produrre, nei mesi più duri della pandemia, testi che trasmettessero la loro “visione” dell’attualità.
I pensieri, che incrociano il vissuto personale di questi ultimi difficili mesi, sono stati elaborati, interpretati e messi in scena dagli allevi attori, drammaturghi e registi della “Scuola di recitazione e professioni della scena” del Teatro Biondo al termine del primo anno di corso, sotto la guida del drammaturgo e regista Rosario Palazzolo.
Le scene, i costumi e le luci sono a cura degli allievi; la regia è stata curata dall’allievo Angelo Grasso – in collaborazione con Giuseppe Bongiorno, Dario Coco, Giorgia Conigliaro, Giuseppe Randazzo, Lia Ceravolo e Francesco Buccheri – sotto la guida di Rosario Palazzolo. Partecipa allo spettacolo l’attore Antonio Silvia nel ruolo de L’iniziatore.
«Un percorso teatrale che si snoda tra compiacenza e contestazione - ha dichiarato il regista Angelo Grasso -. Una vera e propria escalation di compiacimenti e contestazioni, nella quale i personaggi e gli interpreti proveranno sulla loro pelle cosa vuol dire essere compiaciuti e contestati. Si innescherà una competizione selvaggia che non sarà mai dichiarata, anzi, sarà trattenuta quanto più si potrà. Infatti, i nostri protagonisti sanno bene che, rispetto a prima, la scena deve essere guadagnata.
Se la versione originale dello spettacolo, quella itinerante, con le sue stazioni ricordava una sorta di parodia della Via Crucis, questa versione di Via Crudex sarà esattamente il calvario dei personaggi delle diverse scene e degli allievi vi hanno preso parte. Un calvario che o uccide o trasforma, un calvario che può essere contemporaneamente un’estrema unzione e un nuovo battesimo, un calvario che salva soltanto chi si salva da solo».
«E insomma ho fatto così - ha detto l'autore Rosario Palazzolo -, ho acchiappato ciò che i ragazzi della “Scuola di recitazione e professioni della scena” del Teatro Biondo di Palermo hanno vissuto in questo ultimo anno, il loro bagaglio personale, come si dice, traboccante di esperienze, zeppo di acrobazie emotive, poi ho fatto incetta delle parole scritte dagli studenti delle scuole Duca degli Abruzzi, Santi Savarino, Vittorio Emanuele II e Umberto I, le ho infettate con i temi del progetto Squarci d’autore, e poi mi sono messo a scrivere, e più lo facevo, più le pagine saltavano fuori e più sentivo la responsabilità del gesto creativo, ché scrivevo per delle anime nuove, in effetti, giovani persino più della gioventù, che si sarebbero infilate nelle mie storie senza battere ciglio, sospingendo le mie idee, inneggiando i miei spiriti, partorendo i miei figli, e perciò provavo un vago senso di disagio e parecchia strizza, ma è troppo tempo che mi illudo di poter vincere per non provare a perdere anche stavolta, e così ho continuato a scrivere, imperterrito, senza che più una qualsiasi ombra di dubbio si insinuasse fra me e la mia responsabilità, e dentro un tempo languido, e galleggiante, e stranamente sereno ho finito il testo teatrale Via Crudex - Cantico della minaccia, un marchingegno composto da otto brevi scritture – monologhi e dialoghi – che possiedono una poetica tesa al basso, al minuscolo, all’insufficiente, ma che hanno l’ardire di porsi – e porgere – domande stringenti, caustiche, parecchio antipatiche, tutte incentrate su una questione stringente, caustica, parecchio antipatica, e la questione riguarda la nostra responsabilità come pubblico, come artisti, come esseri umani di scegliere ciò che è meglio per la nostra esistenza, e ovviamente so già di mio che è una domanda irrisolvibile, ché in effetti non sempre ciò che è meglio per la nostra esistenza è davvero meglio per la nostra esistenza – provate a chiederlo alla vostra esistenza –, ché può essere molto peggio, a dire il vero, così come ciò che consideriamo il peggio può essere il meglio, e addirittura molto meglio di qualsiasi miglior meglio riusciamo a immaginare per la nostra esistenza, e potrei procedere all’infinito, con inquadrature ancora più strette, eppure disponibili a ulteriori divagazioni, ma nondimeno è proprio sul ciglio di questo baratro inesauribile di pesi e contrappesi, di dubbi e evidenze che il teatro diviene necessario all’esistenza, perché tenta di vincere le battaglie che la realtà inevitabilmente perde, annichilendo le domande con risposte passepartout che si sforzano di contestare il dato oggettivo con un po’ di bellezza, e deridendo ogni lotta, poi osannandola, resistendo e morendo, ma sempre aspirando a una rappresentazione che produca il giusto quantitativo di riflessioni, e che siano almeno un poco attendibili.
E adesso lo spettacolo c’è, esiste – pure se non è uno spettacolo, beninteso, ma più che altro una restituzione – ed è uno spettacolo pieno di parole sbagliate che aspettano solo di mietere le prime vittime, ovvero il pubblico che deciderà di varcare la soglia, che vorrà intraprendere un percorso labirintico, in cui sarà compiaciuto, poi contestato, e infine lasciato solo, con la responsabilità di fare qualcosa, anche nulla.
E in mezzo ci saranno loro, i miei splendidi artefici, i miei adorabili piccoli dirottatori del vetusto pensiero unico, i miei terribili combattenti morali, con le loro spade infuocate contro l’incantesimo della maturità.
Perché questo, occorre fare, io credo, con i giovani.
Educarli a non diventare vecchi».
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