Il Teatro delle Balate nel cuore di Ballarò (via Balate, 3), nel centro storico di Palermo, dopo 28 mesi riapre i battenti con “Labirinto: dai miti al teatro” uno spettacolo scritto da Dario Ferrari e Nina Lombardino, che ne curano anche la regia, portato in scena dall’associazione Liberiteatri, con la collaborazione dell'Assessorato Regionale dei Beni culturali e dell'Identità siciliana.
Grazie alla ricerca visiva ed espressiva su cui da anni la Compagnia lavora, lo spettacolo si presta ad un tipo di spettatore variegato per età, cultura e nazionalità.
Gli spettatori, infatti, attraverso luci, suoni e suggestioni visive vengono introdotti attraverso la narrazione/azione al meraviglioso mondo della mitologia e della storia dell’arte, con un occhio attento alla lettura, in particolare alla letteratura classica.
“L’esperienza portata avanti negli anni dall’associazione Liberiteatri - sottolinea l’assessore dei beni culturali e dell’Identità siciliana, Alberto Samoná, che ha sostenuto il progetto - rappresenta espressione di quel patrimonio artistico e di ricerca che è riuscito a incidere nel tessuto culturale di un’area del centro storico cittadino, attraversata da fenomeni di trasformazione che rischiavano di stravolgere irrimediabilmente la natura e le tradizioni storico-culturali. Lo studio e l’esperienza messa a punto negli anni da Liberiteatri permette, attraverso il linguaggio dell'arte e del teatro, di valorizzare i luoghi, portando avanti un progetto che si muove fra tradizione e ricerca e che manifesta qualità e grande passione”.
Lo spettacolo andrà in scena giovedì 23 giugno e venerdì 24 giugno alle ore 18, sabato 25 giugno alle ore 20.
Ingresso libero con prenotazione al 347 9282697 e, comunque, fino ad esaurimento dei posti disponibili. Ai presenti verrà offerto un calice di vino.
Qualcosa sul testo teatrale
Ispirata al mito del Labirinto e del Minotauro, la rappresentazione ci invita a una lettura critica del mito di Arianna e del Minotauro.
Nato dalla bizzarra attrazione scatenata da uno smagliante bovino in Pasifae, figlia del dio Sole e sorella della maga Circe, il Minotauro viene rinchiuso dal patrigno Minosse nel labirinto costruito per lui da Dedalo (da cui la metonimia). Quindi, viene incarcerato per un peccato che non ha commesso dal momento che non lo si può ritenere responsabile dell’insana passione adulterina all’origine del suo concepimento.
Confinato in un labirinto di specchi dove ogni parete moltiplicava il suo riflesso, il Minotauro non sapeva di essere solo. Ovunque si girasse vedeva un’infinità di creature come lui, che facevano le medesime sue azioni. Si accovacciava e loro si accovacciavano, balzava in piedi e loro balzavano, salutava e loro agitavano la mano. Invischiato nell'infinità del doppio, pensava di vivere in mezzo a tanti esseri che gli erano gemelli, finché ne scorge una diversa, con lunghi capelli neri e sguardo spaurito intenta a fissare la sua immagine possente: la testa ricoperta di lanugine, le corte corna e, sotto al cranio bestiale, il poderoso corpo umano. La insegue, la raggiunge e muggisce di piacere per la conquista. Accorrono altri giovani che gli provocano felicità, ma quando uno lo ferisce, capisce di essere stato aggirato e di non essere amato. Accecato da un’ira furibonda, incorna, scaglia in aria, calpesta. E dopo aver scoperto l’odio, il furore, il desiderio di vendetta, il dolore, scopre anche la solitudine. Sogna di essere diverso, accettato, accolto, e sognando si addormenta. Solo allora viene tradito.
Abbiamo sempre letto il mito del Minotauro come apologo della brutalità mostruosa sconfitta dall’astuzia di Arianna e dall’eroismo di Teseo. E se rovesciassimo il punto di vista: e se l’essere metá uomo e metá toro non fosse un mostro?
Alla comparsa di Teseo, che si è mascherato da creautura per imbrogliarlo torna nel Minotauro, infatti, il conforto di non sentirsi escluso. Non è più solo, scopre l’altro è la sua gioia diventa danza, non è più “soltanto il suo Io, ma anche un Tu”. E di nuovo la gioia, e la gioia si fa danza. E l’essere “danzó la danza della fratellanza, la danza dell’amicizia, la danza della sicurezza, la danza dell’amore, la danza della vicinanza, la danza del calore. Danzò la sua felicita, danzò la sua dualità, danzò la sua liberazione”.
Ed è mentre è tanto euforico e indifeso che si rivela l’inganno: Teseo gli infigge il colpo letale e, nella piena consapevolezza di sè e dell’altro, per il Minotauro arriva la morte. Forte e invincibile nel fisico, la creatura mostra la sua innocente vulnerabilità nell’incapacità di riconoscere la falsità. A ucciderlo, quindi, non è il coraggio ma l’inganno.
In questa breve piece teatrale si utilizza il labirinto come simbolo del mondo infido e spietato. Le parole descrivono minuziosamente l’alternarsi di azioni ed emozioni e il trasmutare in emozione dell’azione. La prosa lirica, solenne, iterativa, oltrepassa il confine che la separa dalla poesia suscitando l’inutile speranza che l’epilogo già noto possa cambiare, che la creatura venga risparmiata. Perché quel mostro che sconta senza colpa un’esistenza prigioniera per un volere divino simile alla beffa, quel mostro in fondo siamo noi, ciascuno ciascuno di noi.
Ci siamo affezionati alla figura dell’eroe greco per eccellenza, Teseo, che armato di fermezza e amor di patria sfida le trame di Dedalo per sferrare il colpo fatale al cuore del labirinto, abbattendo il mostro e riscrivendo le sorte del suo popolo. Ci siamo quasi impietositi di fronte al sentimento di Arianna che, innamoratasi di Teseo, srotola quel filo rosso che lo aiuterà a non perdersi negli intrighi di un luogo ostile, facendogli ritrovare la via del ritorno ma ottenendo come unica ricompensa l’abbandono sulle sponde di Creta da parte dell’uomo amato, dimenticatosi di lei e del suo estremo gesto d’amore: l’uccisione del fratello Minotauro.
E se le cose stessero diversamente? Se il Minotauro fosse una figura innocua, i fanciulli i suoi alleati, Teseo il vero carnefice, Arianna una donna segretamente innamorata del fratello, il filo rosso un messaggio d’amore, il tentativo di mantenere un contatto?
Non semplici congetture per lo spettatore ma un deciso ribaltamento di prospettiva emotiva che costituisce il percorso battuto dalla compagnia Liberiteatri attraverso l'analisi di testi scritti da autori come Borges o Dürrenmatt e la loro riscrittura. Un tentativo di andare oltre, con l’obbiettivo di rivederne il senso con gli occhi di ciò che siamo oggi.
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