Vallanzasca è stato un criminale spietato e, a suo modo, coerente nel non voler mai chiedere perdono per la scia di sangue che la Banda della Comasina ha lasciato dopo il suo passaggio nella Milano degli anni Settanta. Forse proprio per questo è il soggetto ideale per un gangster movie come Gli angeli del male di Michele Placido. Forse proprio per questo è un personaggio da romanzo per la penna di Vito Bruschini. Vallanzasca si trasforma in Renatino e l’autore abbandona l’integralismo della ricostruzione storica per rifugiarsi in un mondo di personaggi inventati ma fin troppo reali. "Una verità personale romanzata" la definisce l’autore del bestseller The Father. Il Padrino dei Padrini. La dedica del libro, che s’intitola semplicemente Vallanzasca (Newton Compton Editori, 2011), è per il vicequestore Giuseppe Peri e per tutti i caduti delle forze dell’ordine. Ma il libro è ricco di "storie di mala" e i protagonisti sono i "maggiori rappresentanti di una generazione che aveva saputo partorire solo morte, disperazione e infelicità".
Bruschini, nel suo romanzo appare chiaramente un doppio livello: da un lato la storia della Banda della Comasina, dall’altro l’instabilità politica degli Anni Settanta.
"In realtà io volevo raccontare gli anni della strategia della tensione. Non volevo scrivere un saggio, ma un testo che fosse facilmente comprensibile per i più giovani che non sanno cosa è successo in quegli anni. Si conosce la storia della strage di Brescia oppure quella dell’Italicus, ma queste storie tragiche sono sempre state raccontate senza inserirle in un contesto".
E che c’entra la strage di Brescia con Renato Vallanzasca?
"Vallanzasca così come Francis Turatello o la Banda dei Marsigliesi e tutte le bande metropolitane che imperversavano in quegli anni in Italia erano state contattate per essere utilizzate da forze occulte extraparlamentari che cercavano di sovvertire il nostro sistema democratico. Il mio racconto parte dalla vicenda di un criminale, ma verte sui collegamenti tra i servizi segreti statunitensi e la massoneria di Licio Gelli fino ai movimenti neofascisti che venivano utilizzati per le stragi o i delitti eccellenti. E’ un grande affresco su questo periodo storico".
Vallanzasca ha contatti con i neofascisti ma anche, soprattutto in carcere, con i terroristi rossi.
"Vallanzasca in realtà si sente svincolato da tutti. Era molto amico di Francis Turatello che andava in giro con una svastica d’oro appesa al collo e che, essendo il suo testimone di nozze, gli regalò un ciondolo a forma di svastica. Renato la portava per amicizia, ma non credeva assolutamente in quel simbolo".
Lei ricostruisce con estrema crudezza la rivolta del 1984 nel supercarcere di Novara
"Forse questa è la colpa maggiore di Vallanzasca perché la rivolta contro gli infami se non l’ha creata, l’ha sicuramente incentivata. E’ stata una mattanza e si dice che la metà di quei carcerati che furono giustiziati in realtà non avevano tradito nessuno e non avevano avuto contatti con la polizia. Sono stati uccisi per motivi personali. Ho voluto approfondire questo aspetto e più in generale quello di tutta la sua detenzione".
Una lunga detenzione.
"Vallanzasca è una specie di Papillon (l'ex carcerato e scrittore francese Henri Charrière ndr.), in carcere ha patito le pene dell’inferno. E’ un ribelle che non si è mai piegato e i metodi di quegli anni erano decisamente duri. Le forze dell’ordine non avevano direttive precise e strumenti, quindi la repressione e la forza erano i mezzi utilizzati per tenere sotto controllo i personaggi come Vallanzasca".
Uno dei personaggi principali del suo romanzo, il commissario Moncada, si stacca da questa visione.
"Il commissario Moncada è un personaggio forte del romanzo e ricorda un funzionario di Trapani realmente esistito che si chiamava Giuseppe Peri. Questo poco conosciuto servitore dello Stato per primo nel 1977 ha capito che c’era una trama che legava tanti delitti all’apparenza casuali e slegati tra loro. Una grande strategia orchestrata dalla massoneria di Licio Gelli per destabilizzare. A Peri è dedicato il mio libro".
In Italia quando si raccontano le gesta criminali si tende a mitizzare il bandito di turno. E’ successo con il film Romanzo Criminale, si è ripetuto con Gli angeli del male. Nella copertina del suo libro compare un’immagine tratta dal film di Kim Rossi Stuart-Vallanzasca che non ispira sentimenti negativi
"In parte è così. Mentre altrove, ad esempio in Germania con la Banda Baader Meinhof il giudizio è politico, in Italia ci manca il coraggio finale di rappresentare la realtà o di commentarla come dovrebbe essere fatto. E’ vero però che nel momento in cui metti nel film Kim Rossi Stuart che è bello, con gli occhi celesti e simpatico, raccogli dei consensi. Però Michele Placido ha fatto la scelta precisa di realizzare un gangster movie, molte polemiche che hanno accompagnato l’uscita del film mi sono sembrate pretestuose. Placido non fa sconti a Vallanzasca, lo rappresenta esattamente com’è: un bandito che spara. La scelta di Kim Rossi Stuart è legata forse al fatto che devi cercare di portare la gente a vedere il suo film".
Nel suo romanzo Vallanzasca, che lei chiama semplicemente Renatino, appare meno duro.
"Io cerco le motivazioni di Vallanzasca. Ad esempio lui non ha mai voluto commentare la sua esperienza al Beccaria di Milano. Aveva otto anni ed entrò in un carcere minorile per aver liberato degli animali. Un reato allora, ma che oggi sarebbe considerato un’azione dimostrativa e troverebbe consensi. Possiamo immaginare cosa può essere accaduto a Vallanzasca in quella settimana al Beccaria. Quell’episodio può essere stata la chiave di volta della sua storia. Inoltre, mentre tanti suoi compari si sono dissociati e hanno potuto usufruire di pene minori fino a ottenere la libertà, lui si è assunto tutte le sue responsabilità. Ha questa mentalità che potremmo definire da vecchia mala".
Perché ha deciso di chiudere il suo libro con le lacrime di Renatino?
"Il sottotitolo del libro recita: 'romanzo non autorizzato'. Questo perché lui ha sempre rifiutato di chiedere perdono. Ritiene che tale richiesta sarebbe troppo poco per quello che ha fatto. Vallanzasca rivendica la sua scelta di essere stato un bandito e si è assunto in prima persona le responsabilità di tutta la sua banda. Bisogna ricordare che dei quattro ergastoli che deve scontare, solo uno è arrivato per colpe solo sue. Quando scrivevo il finale non ho pensato a Vallanzasca ma a un personaggio che all’inizio della sua vita finisce in un carcere minorile, subisce delle violenze e diventa lui stesso un violento. Per cercare una catarsi chiudo il libro con la parola 'perdono'. In questo mi sono discostato totalmente dal vero Vallanzasca".
Fonte: tiscali
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