Mi piace ricordare la citazione di Giovanni Franceschini, che già nel 1906, in un articolo, prendeva in esame il solido legame tra arte e medicina: “Arte e medicina due mondi apparentemente così distanti ma che possono trovare un punto di incontro e di contaminazione reciproca per uno scopo comune”.
Parrebbe che non avessero niente da spartire, di qua l'artista creativo senza regole, di là lo scienziato tutto metodo e rigore. E invece no, arte e scienza possono dialogare benissimo, scambiarsi dati ed esperienze e contribuire insieme ad un mondo, si spera, migliore.
Il tema dell’evoluzione nella relazione tra medicina e società attraverso gli occhi degli artisti viene analizzato nell’ultimo libro di Renato Malta dal titolo “Come gli altri ci vedono”.
Renato Malta è medico specialista in Medicina interna e in Malattie dell’apparato digerente, autore di altre pubblicazioni, ma questa è sicuramente tra le più originali poiché riesce, in 158 pagine, a far dialogare medicina e arte. L’autore pone l’accento sullo sviluppo relazionale instauratosi nel tempo tra medico e paziente, spiega nella prefazione Mariny Guttilla, e visto attraverso le immagini dell’arte che vengono assunte come testimonianza viva e attendibile del pensiero contemporaneo.
Particolare e indicativa anche la copertina del libro con un’immagine di Sonia Ros, L’ombelico del mondo, in cui sono ritratti organi del corpo umano svincolati dal loro naturale contesto e impostati come pezzi di ricambio. Sonia Ros, nel dipingere inverosimili e fantastici corpi viventi assemblati con organi reali attuali, anticipa un progresso e un’evoluzione cui tanti studiosi e scienziati vorrebbero approdare, sostiene Malta, poiché questa idea di un corpo con organi distanti uno dall’altro in attesa di un collegamento che li animi, è l’immagine dell’uomo-macchina di cartesiana memoria, iatromeccanica (dottrina medica che si sviluppò nel 17° sec.) dei tempi moderni alla ricerca di nuove esistenze.
Mi piace molto e mi soffermo sul capitolo dedicato ad un’imponente opera palermitana, che risale alla metà del XV secolo, ovvero il Trionfo della morte (pag. 48), che è la rappresentazione dell’arte negli ospedali ed eseguita nell’ Ospedale Grande di Palermo, ovvero il trecentesco Palazzo Sclafani dove dal 1832 risiede la sede dell’Esercito italiano. L’affresco fu poi trasferito dalla sede originaria alla Galleria Regionale di Palazzo Abatellis, dove tuttora si può ammirare in tutta la sua magnificenza.
Analizzando l’affresco, dove protagonista assoluta è la Morte che campeggia in tutto il suo oscuro splendore, Malta fa notare come questa, rappresentata da un cavaliere che cavalca un folle cavallo scheletrico, è immortalato come se stesse affrontando uno dei lunghi balzi tipici del galoppo.
Il Tristo Cavaliere sembra invaso dal furore, estasiato dalla sua attività mortifera. Il mostruoso cavallo invece sembra nitrire in modo innaturale, quasi trasmette il dolore provocato dallo sforzo di una corsa che non ha mai fine: la Morte non si ferma mai. Essa porta con sé i suoi simboli caratteristici: la Falce, che così come il contadino la utilizza per recidere il grano dagli steli è da lei utilizzata per recidere le anime dai corpi, e ancora Arco e Frecce, strali maligni che colpiscono da lontano silenziosamente, essendo avvertiti solo al momento del colpo. La Morte, infatti, ha l’Arco in mano ed il suo braccio mima il gesto di una freccia appena scoccata. Intorno a questo folle cavaliere, terribile eppur sublime nella sua corsa, stanno tre gruppi di persone. Immediatamente sotto al suo cavallo sono presenti gli esponenti del clero, tutti trucidati e colpiti dalle sue frecce. Anzi, proprio la freccia scoccata nel momento in cui il pittore, in questo caso ignoto, si apprestava ad eseguire l’affresco è ben visibile, piantata nel collo di un alto esponente religioso, forse un vescovo. Il pittore ha dipinto questi soggetti mostrando qual è l’effetto nel mondo sensibile degli strali che la Morte lancia dal mondo ultraterreno: la Peste Nera. I corpi hanno infatti un colorito giallo-verdognolo, i tendini sono ben in vista e tesi a causa delle contrazioni e degli spasmi muscolari provocati dal batterio; in alcuni si vedono inoltre i bubboni neri, sintomatici dell’ingrossamento dei gangli linfatici dell’organismo attaccato dalla peste. Tutto questo, da una parte dimostra la conoscenza del pittore della sintomatologia della peste bubbonica, dall’altro permette di inquadrare cronologicamente l’opera nell’intervallo immediatamente successivo all’epidemia.
All’inizio del Cinquecento, l’arte rappresenta non solo la peste e la morte, ma anche coloro che le contrastarono e che nel nome di Gesù erano stati perseguitati, come ad esempio i fratelli Cosma e Damiano divenuti santi patroni dei medici, raffigurati in un dipinto di Pietro Ruzzolone, oggi custodito nel Museo Diocesano di Palermo; i santi Sebastiano e Rocco invocati contro alcune malattie specifiche, un dipinto infatti raffigura San Rocco con una piaga sanguinante sulla coscia destra mentre un angelo sta per medicarlo, opera di scuola fiamminga custodita nel Museo Pepoli di Trapani, e così ancora altre figure emblematiche.
Ma lasciamo al lettore gustarsi la continuazione del volume con i riferimenti alla medicina e con le curiosità che l’autore propone nella sua silloge. In questa pubblicazione, Renato Malta ha voluto dare una prima comunicazione dei molteplici legami tra Arte e Medicina e di quanto l’una possa essere di “aiuto” all’altra. Non solo, ma l’autore sottolinea anche la relazione medico-paziente che nel tempo si è instaurata e che è ben testimoniata attraverso le immagini dell’arte capaci di descrivere ma anche di percepire gli umori sociali anche attraverso una simbologia cromatica.
Ci si auspica che sempre di più l’osservazione dell’arte possa diventare uno strumento utile per la formazione e l’aggiornamento di chi opera in ambienti di Cura e che gli storici e gli studiosi dell’arte possano guardare con “nuovi” occhi la collaborazione non solo degli scienziati per le ricerche di conservazione e tutela. Ci si augura che nel nostro Paese, famoso per il Patrimonio Culturale, l’arte diventi uno dei settori fondamenti nell’ambito delle Medical Humanities e la multidisciplinarietà e interdisciplinarietà diventi finalmente un elemento positivo e innovativo per la “ricerca”.
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