Nel romanzo Ragionevoli dubbi l’avvocato Guido Guerrieri sfoglia tra le mani La manomissione delle parole, sottotitolo: Appunti per un seminario di scrittura. Un testo creato dallo scrittore Gianrico Carofiglio per pura finzione letteraria, che con il tempo prende la forma e la consistenza di un saggio pubblicato in questi giorni da Rizzoli.
La manomissione delle parole è una riflessione sull'uso dei termini, sulla loro funzione, sul valore che essi hanno nella costruzione delle storie di ciascuno di noi, tanto da essere pilastri della nostra vita etica e civile. Fondamenta che sempre più spesso vengono logorate dall'abuso e dalla manipolazione dei significati. Come si fa a ridar loro la dignità che meritano? Per Carofiglio l'unico metodo è manometterli, cioè smontarli e rimontarli nel loro verso originario. Ce lo spiega in queste pagine dove, oltre a giocare con alcune parole, costruisce un'indagine letteraria politica e giudiziaria a partire da alcune citazioni di personaggi diversissimi tra loro, da Aristotele a Cicerone, da Dante a Primo Levi, da Calvino a Nadine Gordimer, da Obama a Bob Dylan.
Perché un libro immaginario, citato in un suo romanzo, ha destato interesse tra i suoi lettori tanto da spingerla a scriverlo?
I lettori mi chiedevano come fosse possibile trovarlo visto che in libreria non c’era e neppure su internet. A un certo punto mi è parso naturale farlo diventare realtà. Credo che l’argomento, l’igiene del linguaggio e la corretta scelta delle parole, sia sentito da molti. Probabilmente era questa la ragione per cui molti volevano leggerlo e credo che sia la ragione per cui l’ho scritto.
Ci ha impiegato, però, 4 anni visto che Ragionevoli dubbi è del 2006.
I libri hanno incubazioni lunghe e discontinue. Ho avuto molte sollecitazioni ma non ci facevo caso. All’inizio mi sembrava più l’effetto di un gioco divertente con i lettori. Poi è successo che nel
In principio era il verbo, recita il Vangelo. Oggi che cos’è la parola?
Quello che abbiamo dentro e quello che ci circonda non esiste se non abbiamo le parole per nominarlo. In questo senso la capacità di dare nomi alle emozioni e di raccontare in storie articolate la nostra esperienza è proprio una funzione creatrice del mondo. E penso sia anche il senso profondo di quella frase quanto mai attuale.
Lei scrive: “È necessario un lavoro di artigiano per restituire verginità, senso, dignità e vita alle parole”, in che senso?
Artigiano è una metafora in questo caso particolarmente utile perché il riferimento alla materialità del lavoro consente di riflettete sulla necessità che le parole, come entità immateriali, siano trattate, sottoposte a manutenzione, se ne verifichi il funzionamento e se ne correggano eventuali difetti come degli oggetti materiali.
Lei è un artigiano?
Non c’è un algoritmo della scrittura, un modo di procedere valido per tutte le occasioni o che garantisca il successo. Esistono alcuni meccanismi che si ripetono, ed esiste anche la consapevolezza che ogni singolo oggetto che si produce è autonomo, appunto di tipo artigianale. Questo è quello che mi piace di più del lavoro dello scrittore.
Come sceglie le parole quando scrive un romanzo?
Il mio modo di procedere è a strati come se dipingessi una parete. Il primo passaggio è sommario, un sacco di spazi rimangono bianchi o mal dipinti. Fuor di metafora significa che faccio una prima scrittura alluvionale, in cui non presto particolare attenzione alla scelta delle parole e alla costruzione delle frasi. Mi serve per uscire dalla sensazione di indistinto che precede l’inizio della narrazione. Poi i passaggi successivi procedono per approssimazioni fino ad avvicinarmi al risultato finale. Mi capita di fare anche quattro o cinque stesure. Man mano che si arriva a quella finale l’attenzione e la scelta specifica delle parole diventa più importante ed è fondamentale nell’ultima revisione.
Combattere l’impoverimento e la sciatteria del linguaggio può essere un antidoto alla violenza?
Credo proprio di sì. Nel libro si racconta di risultati di ricerche sociologiche e criminologiche dalle quali viene fuori che spesso i comportamenti violenti sono conseguenza dell’incapacità di elaborare la sofferenza interiore per mancanza di parole che nominino quel dolore. Giovani devianti, in situazioni di grave sottosviluppo, non hanno i mezzi linguistici per esprimere il loro disagio e lo trasformano in violenza. Questo basterebbe per dire che la capacità di usare molte parole, la disponibilità di un ampio vocabolario è un primo rimedio all’alterazione della sofferenza in aggressività. In generale le parole sono uno strumento che ci permette di entrare in relazione pacifica con gli altri e di risolvere le controversie sul piano della dialettica. A patto che non vengano usate per offendere.
Una delle parole più semplici, corte e potenti del nostro vocabolario è No. Tanto significativa che in essa lei ci vede non negazione ma positività. Perché?
Nella mia interpretazione questa parola non serve a negare qualcosa senza alternativa. Dietro di essa c’è sempre una proposta, c’è un mondo diverso da quello che qualcuno vorrebbe imporre. In tanti casi dobbiamo rifiutare per rivendicare la nostra dignità umana.
C’è un termine che non le piace? Beh, quando sento utilizzare l’avverbio assolutamente divento nervoso. In generale gli avverbi sono da maneggiare con cura perché hanno un significato radicale.
Nel libro c’è una riflessione critica sul linguaggio di Silvio Berlusconi, sull’uso che egli ha fatto di termini come vergogna, giustizia, democrazia. In realtà non è tutta la classe politica ad aver abusato della funzione delle parole?
Certamente sì. Non ho voluto occuparmi del singolo personaggio ma dei modelli linguistici di cui lui è portatore. In un’altra parte del libro si parla delle parole d’ordine della sinistra, e si cerca di dimostrare che la sinistra abbia problemi diversi ma ugualmente gravi con la lingua e con la necessità di renderla più fluida e viva.
La manomissione delle parole non è solo un saggio, è una considerazione sul valore del linguaggio e un esperimento di manomissione di alcune di parole. Lei come lo definirebbe?
È una conversazione tra me e i lettori. Qualcuno mi ha detto che lo ha letto tutto d’un fiato come se fosse un romanzo, e poi l’ha riletto per capire bene cosa c’era dentro. Lo considero il più bel complimento.
Il 2010 per lei è stato un anno intenso, ha pubblicato per Sellerio il romanzo Le perfezioni provvisorie, per Rizzoli la raccolta di racconti Non esiste saggezza e ultimo, da pochi giorni in libreria, La manomissione delle parole. Si prenderà un periodo di pausa o ha già iniziato il suo prossimo lavoro?
È stato un anno singolare, non ricapiterà più. Promesso! Nelle prossime settimane però comincerò a scrivere un romanzo che avevo in mente da molto tempo che potrà uscire tra la fine dell’anno prossimo e l’inizio del 2012.
Fonte: tgcom
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