Potrebbe sembrare un saggio di argomento medico-scientifico, visto che affronta con spirito divulgativo temi complessi come l’utilizzo delle staminali e del cordone ombelicale. Ma "Le cellule della speranza" (Sperling & Kupfer, pagg. 224, € 17,00) è soprattutto un’inchiesta giornalistica. Gli autori, Gianluca Ferraris e Ilaria Molinari, sono due giovani cronisti che lo scorso anno per Panorama hanno scandagliato il mondo delle cliniche offshore.
"Strutture prive di riconoscimenti scientifici, messe all’indice dagli organismi internazionali, ma comunque capaci di attrarre ogni anno migliaia di malati di Alzheimer, Sla, distrofia muscolare, sulla base di false promesse di cura" raccontano gli autori. Da quell’indagine, vincitrice del primo premio al concorso europeo EU Health Prize for Journalists, è nato il libro di cui parliamo con loro.
Da dove nasce la vostra inchiesta sulle cellule della speranza?
Dalla curiosità e dalla confusione che c’è ogni volta che sui giornali si parla di terapie con le cellule staminali. I media italiani non sottolineano abbastanza quanto grande sia il peso della ricerca e soprattutto quali difficoltà s'incontrino nell'andare avanti. A volte è proprio colpa di noi giornalisti, che strilliamo un titolo senza le necessarie cautele: «Staminali, trovata la cura per…». È un classico.
Che cosa avete scoperto?
I medici e i ricercatori italiani che ogni giorno lavorano per ristabilire la verità scientifica ci hanno spiegato che i tempi necessari a trovare una cura purtroppo non coincidono mai con quelli dei pazienti. E che allo stato attuale sono solo quattro o cinque i campi dove per la terapia cellulare si può parlare di applicazioni di successo.
E i pazienti lo capiscono?
Non sempre. Per questo spesso è molto facile abbindolarli, offrendo loro fasulle o ambigue possibilità di guarigione. Raggiri che di scientifico hanno poco o nulla, ma che per disperazione qualcuno arriva a pagare fino a 70 mila euro.
Con quali risultati?
Nella maggior parte dei casi nessuno, come abbiamo potuto verificare di persona.
E' stato difficile avvicinare gli ex pazienti di queste cliniche?
Tutt’altro, abbiamo trovato la massima disponibilità. E sinceramente questa è stata la cosa più appagante del nostro lavoro: la sensazione di avere fatto qualcosa di utile per loro.
Fonte: tgcom
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