Un viaggio nel tempo segnato da macchie d’inchiostro su fogli bianchi con un’unica grande costante: la Sardegna, l’Isola. Un’Isola che perde le sue caratteristiche fisiche per trasformarsi in "Isolitudine" ovvero incontro tra isolamento e solitudine. E proprio Isolitudine, vocabolo inesistente preso in prestito da Gesualdo Bufalino, è il titolo del libro delle docenti universitarie Laura Fortini e Paola Pittalis. Il sottotitolo del libro, edito da Iacobelli, recita "scrittrici e scrittori della Sardegna" perché, spiega Fortini, "la scrittrice è sempre quasi un'aggiunta al canone, invece noi abbiamo volutamente invertire l'ordine. Che la letteratura sia fatta da scrittori è risaputo, noi abbiamo voluto porre l’accento anche sulla centralità delle scrittrici". Il libro si sofferma sul rapporto di scambio costante tra l'identità sarda e il mondo esterno attraverso gli scritti dei suoi autori più prestigiosi: Michela Murgia, Giuseppe Dessì, Sergio Atzeni, Salvatore Mannuzzu, Marcello Fois, Salvatore Niffoi, Salvatore Satta, Emilio Lussu senza dimenticare la "radice" comune: Grazia Deledda. L'immagine che emerge dagli scritti è quella di un'isola che si vuole aprire all'esterno perché, spiega Paola Pittalis, "la cultura sarda non è una eredità astorica e atemporale, ma nasce dalla somma di infiniti meccanismi di contaminazione. E’ un meticciato culturale che si rinnova. L’identità non è un elemento statico".
Perché per il vostro libro avete scelto il termine "Isolitudine"?
Paola Pittalis: "Questa suggestione di Bufalino è riferita alla Sicilia e si basa sull’ipotesi che l’isolamento sia un elemento negativo perché chiude e isola, mentre la solitudine sia un elemento positivo perché spinge la persona sola a cercare un contatto e a inoltrarsi nel percorso delle differenze. La Sardegna è quindi l’isola che poteva chiudersi nel suo isolamento ma che ha vissuto nel corso degli anni una solitudine proficua. Sposo la definizione di 'un’isola non isola' coniata da Manlio Brigaglia".
In questa fase di apertura diventa fondamentale la figura dello straniero. E' così?
Paola Pittalis: "Lo straniero è una figura di frontiera che riporta al concetto dell’isola circondata da un mare che chiude e al tempo stesso apre al contatto. Abbiamo cercato di analizzare la figura dello straniero negli scrittori sardi. La funzione dello straniero è quello di determinare un confronto e quindi una crescita. Il mio concetto di identità sarda non potrà mai essere quello di una realtà chiusa in se stessa, che ritorna indietro ad una fase preindustriale, mitica e arcaica. L’identità della Sardegna invece nasce da una somma di incontri e di storie. Dal confronto con l’altro scopro sia chi è lui che chi sono io".
Quali figure rispondono a questo schema incontro-crescita?
Paola Pittalis: "Partiamo da Grazia Deledda che ha vissuto la costituzione dell’Italia unita. Un periodo di straordinaria trasformazione dove la cultura orale barbaricina incontra la cultura scritta dello stato nazionale. Molto in Grazia Deledda viene mediato dallo straniero. Nel romanzo autobiografico Cosima compare Elia, un lupo di mare che non è né un contadino né un pastore e viene guardato con sospetto. Questo personaggio è quello che meglio comprende l’animo di Cosima, perché venendo da fuori ha uno sguardo più aperto e più limpido e meno condizionato. Cosima decide di lasciare il suo mondo e trasferirsi prima a Cagliari e poi a Roma. In Canne al Vento c’è Giacinto che torna al paese di Galte da straniero. E’ l’unico che oltrepassa i confini dell’antica società che ritrova. Grazie a lui Galte conosce percorsi differenti e gli altri personaggi crescono grazie al confronto. L’antica società viene metamorfosata e comincia a trasformarsi in qualcosa di diverso".
Il tema ricorre anche in altri autori?
Paola Pittalis: "Certo questo percorso è comune in autori e testi differenti. In Salvatore Satta gli stranieri, sos istranzos, sono anche quelli che fanno crescere Nuoro in senso burocratico e politico. In Giuseppe Dessì e nel suo Paese d’ombre lo straniero ha il volto della persecuzione e della repressione poliziesca con il turco Giorgiades direttore della miniera di Bugerru che non esita a far aprire il fuoco e uccidere i manifestanti. Ma straniero è anche l’ingegner Ferraris che insegna ai sardi a costruire il ponte che mette in comunicazione le due rive del fiume che separava in due il paese. Quindi l’incontro con una civiltà diversa che trasforma i lineamenti del paese. Ci sono poi Sergio Atzeni e Giulio Angioni fino a Salvatore Mannuzzu che il punto di arrivo di questo percorso. Grazie ai personaggi stranieri Mannuzzu legge la realtà di un mondo sgretolato, investito dai processi della globalizzazione, caratterizzato da una forte perdita di senso".
Nel vostro libro viene dato ampio risalto all’opera di Mannuzzu.
Laura Fortini: "Salvatore Mannuzzu ha la capacità di raccontare la Sardegna attraverso una rappresentazione simbolica che non riguarda solo l’isola, ma finisce per rappresentare tutta l’Italia. Ho scelto di studiare un testo dello scrittore, Alice, per il suo modo di raccontare la bellezza e la grazia terrena. E’ stato un mezzo per avvicinarsi all’isola ma guardandola come un laboratorio per tutta l’Italia".
Fortini, lei indica un filo rosso che parte da una donna, Grazia Deledda, e arriva fino a un’altra donna, Michela Murgia.
Laura Fortini: "Il filo rosso parte da Grazia Deledda e arriva fino ai giorni nostri quindi non riguarda solo Michela Murgia, ma anche Marcello Fois, Sergio Atzeni o lo stesso Mannuzzu. Nonostante le distanze gli stessi scrittori quando fanno i conti con le proprie radici ritrovano Grazia Deledda. Che sia una radice odiata oppure amata poco importa".
Qual è il vostro giudizio su Michela Murgia?
Laura Fortini: "Michela Murgia è un talento. Il suo aspetto più interessante è quello di essersi allontanata dalla Deledda nel laboratorio della sua scrittura con il romanzo Il mondo deve sapere, per poi tornare e farla propria in Viaggio in Sardegna e ancora di più in Accabadora. E’ esemplificativa di un percorso che riguarda scrittrici e scrittori con una grandissima autrice del Novecento, Deledda, troppo spesso dimenticata".
Quindi affermazione dei nuovi autori e riscoperta di Grazia Deledda sono inevitabilmente legati?
Laura Fortini: "Grazia Deledda è stata una scrittrice sempre letta a partire dalle scuole, ma poi relegata in una posizione di lontananza o quasi di rifiuto esplicito. Era ritenuta ormai lontana per il suo tipo di scrittura, invece oggi la si sta riscoprendo. Questa è un'acquisizione importante e un dato di grande forza non solo per la Sardegna ma per la letteratura in generale. Bisogna guardare agli autori del Novecento come lei perché in virtù della loro marginalità hanno sperimentato molto trovando modi diversi di raccontare e hanno indagato sui temi dell'umano che sono ancora oggi centrali per la letteratura".
Fonte: tiscali
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