Cesare Fiumi racconta storie di ordinaria intolleranza, pugni nello stomaco per chi crede che ci sia ancora una sorta di controllo sociale che può arginare comportamenti devianti.
Il giornalista di Sette del Corsera ricorda a tutti che al fianco del mondo plastificato da formato televisivo esiste un mondo più vero, ma non per questo più bello dove un famiglia è costretta a lasciare un locale perché il vicino di tavolo insulta una bambina handicappata o dove tre ragazzini mettono fuoco a un barbone per divertimento come se fosse una scena di Arancia Meccanica. Fiumi denuncia il vuoto pneumatico che riempie i giovani, allarga l’obiettivo su una generazione cresciuta senza faticare ma anche senza prospettive per il futuro dove l'unica compagna di giochi è spesso una console. "E’ una generazione che fatica sempre di più a condividere le esistenze altrui" sentenzia Fiumi mentre ricostruisce uno dei suoi racconti di cronaca. Ma nello scenario finale tracciato dal giornalista-scrittore questi giovani sono solo un tassello di una società che ha perso le proprie radici a causa del disinteresse delle famiglie e delle istituzioni. Scrive ancora il giornalista milanese: "E’ una generazione cresciuta nel niente, in un Paese dove si è smesso da tempo di seminare e di coltivare per quelli a venire. E dove si è messa una pietra tombale sulla pietà e sui principi, sui comportamenti e sui doveri". Il libro che raccoglie queste piccole pagine nere di quotidianità italiana si intitola La feroce gioventù (Dalai editore, 2011).
Fiumi, prima dalle pagine di Sette ora con La feroce gioventù lei traccia un'immagine della società italiana per niente piacevole.
"Sì è così. Racconto storie di frustrazione mal gestite. Stiamo perdendo una generazione perché questa non possiede gli strumenti per arginare una frustrazione anche banale che provoca una violenza spropositata per il movente che la provoca. C'è un deficit emotivo clamoroso che è causato in primo luogo dalla esplosione della famiglia, poi dalla deriva della scuola e infine della politica".
Lei quindi denuncia una sostanziale assenza di "maestri"?
"La perdita di questo pezzo di generazione rappresenta la vera notte della Seconda repubblica. Non ci rendiamo conto di quanto non stiamo investendo sui giovani. La politica italiana ha diottrie piuttosto corte per ciò che riguarda le politiche giovanili. Non c'è interesse nei confronti di una generazione che non porta all'incasso del voto. Ma tra 10-15 anni questi giovani saranno la classe dirigente e farsi carico del Paese, ma non riesco a capire avendo davanti le storie che racconto e la loro quotidianità. E' un deficit molto preoccupante".
Torniamo ai giovani. Dal profilo che lei traccia emerge che questa generazione non ha lavoro e non ha prospettive ma gode di tranquillità economica.
"I ragazzi violenti del Dopoguerra descritti da Pasolini appartenevano a una generazione che veniva dalla povertà postbellica ma aveva una grande fame di futuro. Al contrario questa generazione non ha fame di futuro perché naviga a vista, vive nel benessere medio. In tutte queste storie i protagonisti non hanno un disagio economico, ma psicologico. Non c'è una mancanza economico-finanziaria ma educativo-affettiva".
La responsabilità di questa situazione ricade sui genitori?
"Sì. Se guardiamo ai genitori di qualche generazione fa notiamo che sebbene non avessero molti strumenti per educare i loro figli godevano di una grande autorevolezza, mettevano dei paletti precisi e a questi legavano i comportamenti e gli esempi. Oggi c'è uno scenario molto diverso perché ci sono stati dei cambiamenti epocali che hanno portato a quella che definisco un mutazione antropologica".
Quali sono i fattori di questo cambiamento?
"Innanzi tutto la tecnologia. Premetto che è utilissima, ma sta tirando su una generazione che non riesce a crescere emotivamente. C'è una grande solitudine emotiva. Oggi se vuoi interrompere una amicizia puoi facilmente premere un tasto e cancellare chiunque da Facebook oppure se perdi una partita di un videogioco puoi rigiocarla. Anche il linguaggio è mutato si parla come si scrive un sms a discapito delle tensione lessicale che segue quella cerebrale. Quando questa generazione si trova ad affrontare la vita vera la frustrazione emerge e porta alla violenza come è accaduto recentemente a Grosseto".
Quindi l'aggressione ai carabinieri da parte di un gruppo di giovanissimi entra in questo schema?
"Sì. E' come si trovassero davanti a un videogioco. Davanti a una partita persa, ovvero il verbale dei carabinieri e la patente da sospendere, e l'impossibilità di poterla giocare nuovamente scatena una rabbia inedita e terribile".
Spesso però questi ragazzi sono sotto l'effetto di droghe o alcool.
"In certi episodi ci sono anche droghe e alcool, ma questi sono solo degli acceleranti di questa crisi avaloriale. E' una generazione che non ha valori né controvalori ma soprattutto non è interessata ad averne. Ha rimosso valori come solidarietà, impegno, rispetto, dignità perdendo le proprie radici".
Un altro aspetto che emerge dal suo libro è l'uniformità del degrado giovanile in tutto il Paese.
"In tutta la Penisola gli episodi sono identici. Festeggiamo una pessima unità da questo punto di vista. Sono comportamenti individuali in cui però ognuno fa le stesse cose e reagisce allo stesso modo e si creano le stesse situazioni ma senza che ci sia un modello o una rete".
Qual è il rischio maggiore per la società?
"La fragilità, la debolezza e la mancanza di futuro potrebbero essere sfruttate da chi fa caporalato della paura. E' già accaduto in altri momenti storici. Una generazione così fragile può essere molto pericolosa per se stessa e anche per gli altri".
Fonte: tiscali
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