Si dice nella bibbia che le colpe dei padri ricadranno sui figli. Deve essere vero anche per i musulmani. Lo si scopre sfogliando le pagine del libro di Sarah Ghazi, pseudonimo dietro il quale si cela la vita (vera) di una giovane donna libanese.
La sua storia comincia ancora prima della nascita, durante la guerra del 1982 quando gli zii e la nonna paterni vengono massacrati in un attentato. Una ferita che per la donna si concretizza fin dall'infanzia nella perenne mancanza di una famiglia. E che si acuisce con la fuga della madre, troppo giovane per prendersi cura di una bambina. Ne nasce una "solitudine invadente,di chi sa di non essere amato" accompagnata da una sindrome da abbandono che Sarah tenterà di colmare in ogni modo, prima con le fantasie su un principe azzurro immaginario e poi con l'amore per Nasser, un connazionale conosciuto in Italia durante gli anni dell'università.
Ma a separarli sarà ancora una volta l’inesorabilità della storia, quella delle loro famiglie (fu il padre di Nasser ad ordinare la strage della famiglia si Sarah) e quella che si legge sui libri di scuola. L'attentato delle Torri Gemelle del 2001 porterà Nasser, prima musulmano laico, a sposare “"a causa" e ad unirsi ad una setta islamica fondamentalista. Per Sarah, moderna Aida, divisa tra l’amore per Nasser e quello per la famiglia, inizierà una difficile educazione alla sottomissione. Conoscerà un'Italia popolata da donne marocchine senza identità, arrivate grazie al ricongiungimento familiare e intrappolate in casa con 9 figli. Donne brutalizzate e tenute nella più completa ignoranza del mondo, prigioniere di "una routine malata e abbrutente". E, in un escalation di privazioni, dall'impossibilità di uscire al divieto di suonare Beethoven, dalla rinuncia a parlare in pubblico all'obbligo di indossare il burqa, arriverà alla massima disperazione: il rapimento del figlio da parte dei suoceri.
Incapace "di spezzare", lei da sola, "il cerchio del dolore" che perseguita la sua famiglia, e la storia del Libano, da tre generazioni. ASarah non resta che scrivere una lettera al figlio. Per tentare di spiegargli perché non sia stata lei “bambina senza mamma” ad averlo cresciuto. Nella speranza di potergli passare il testimone affinché un giorno possa essere finalmente inaugurata“l’era della pace”.
Fonte: tgcom
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