Lo spaccato che importanti classifiche internazionali "di merito" danno dell'Italia è piuttosto sconfortante. Giovanni Floris, giornalista televisivo e conduttore di Ballarò, nel suo ultimo libro Zona retrocessione (Rizzoli, 252 pagine, 19 euro), ne delinea i tratti: 24esimo posto in Europa per libertà di stampa e 23esima (su 30 Paesi) per gli stipendi, che significa il 16,5 per cento sotto rispetto alla media europea. Ancora: secondi solo alla Grecia per evasione fiscale e poi quei 1821,9 miliardi di euro che significa il debito pubblico più alto dell'Ue. E così via su competitività economica, occupazione, giustizia lumaca e infrastrutture insufficienti. Ma soprattutto la scuola che, secondo i dati Ocse-Pisa, vede l'Italia relegata al penultimo posto per efficenza in Europa, seguita solo dalla Turchia. "E' emblematico perché è il dato più preoccupante e significa che il futuro è compromesso", spiega Floris a margine della presentazione del suo libro. Certo, l'Italia non sarà solo questo ma "è da qui che dobbiamo ripartire, perché quando uno è messo malissimo deve ricominciare dalle cose base". E le cose base, dice, sono "pensiero e movimento, quindi scuole e strade".Floris, lei per descrivere l'Italia usa una metafora calcistica. "Zero tituli" significa che per una serie di parametri economici e sociali internazionali l'Italia "rischia la serie B". Perché la politica ha smesso di fare gli interessi della gente?
"Bella domanda. Stiamo attenti che 'zero tituli' è un punto di arrivo ma può essere anche un punto di partenza. Non bisogna mai spaventarsi quando si prende atto della situazione in cui si sta. Cioè, che sia un punto da cui ripartire oppure no, dipende dalle singole persone. Quello che è difficile è sapere come ci si è arrivati perché le cause sono troppe, i motivi sono troppi. Per ripartire, per stare sulla metafora calcistica, si dovrebbe tornare ai fondamentali. Cioè, dalla testa e dalle gambe. Dalla testa con una decisa politica di valorizzazione della ricerca, dell'università e della scuola, dalle gambe con una politica di investimento sulle infrastrutture, così da far partire lavoro e cervelli".La politica deve ritrovare il suo ruolo.
"A me non è mai piaciuto dare la colpa alla politica perché la politica sei tu, sono io. La politica è tutti gli errori che noi facciamo quando andiamo a votare, nient'altro. Se ci son gli stessi politici da tanto tempo è perché noi li votiamo sempre. Non è colpa loro se loro fanno i politici e noi ogni volta li votiamo".Quindi una politica mediocre è il risultato di...
"Di una scelta mediocre. E non di una società civile mediocre, ma di una scelta mediocre: ne sono convinto. Quindi la prima cosa che si deve fare per ripartire nella politica è dare più peso alle scelte che si fanno".E' urgente intervenire, dice lei, ma la crisi politica sembra sospendere tutto. A proposito, stando per un attimo sull'attualità, secondo lei Berlusconi è pronto per uscire di scena?
"E' impossibile dirlo, non è ripararsi. Molte volte sembrava uscire di scena e poi non era così. Stando ai sondaggi la risposta è no. La nostra legge elettorale è particolare perché dà la maggioranza alla Camera alla lista che vince. E per i sondaggi la lista che vince è quella di Lega-Pdl, quindi ad ora la vittoria sarebbe del centrodestra tradizionale. Però è una crisi politica talmente complessa, talmente nuova che non si può proprio dire nulla".Il programma che conduce su Rai Tre fa di lei un osservatore privilegiato della politica made in Italy. Nel suo libro auspica una presa di coscienza: dopo quasi vent'anni di Berlusconi, nel bene e nel male, gli italiani sono pronti per il cambiamento?
"Non si può dire, mettiamola così: non sappiamo se siamo pronti a nulla. Non si sa se siamo pronti alle elezioni, non si sa se il Paese è consapevole del momento difficile che sta vivendo. Dal punto di vista dell'economia è un momento molto complesso: la disoccupazione giovanile non ha mai raggiunto dei picchi così alti, la crisi della scuola non è mai stata così grave. Non abbiamo mai investito così poco nella ricerca, non siamo mai stati schiacciati nel confronto con il resto delle nazioni europee come in questo periodo. Quindi questa è la consapevolezza da prendere non tanto il Berlusconi sì Berlusconi no. Bisogna più che altro rendersi conto che siamo messi male e su questo ragionare".Ha tenuto all'Università di Cagliari una lectio magistralis, dal titolo emblematico: "Politica, informazione e populismi". Sono tre elementi concatenati e non sembra un caso che tra i due estremi ci sia l'informazione: che ruolo hanno i media?
"I media hanno il ruolo di far domande. Quando ci si abitua all'idea che un giornalismo libero è solo quello che fa parlare gli altri, ci si accontenta di troppo poco perché un giornalista non deve semplicemente far parlare gli altri, ma deve fare domande agli altri. Deve farle difficili e mettere in crisi le idee. Quando invece si sta attenti solo alla possibilità che hanno le idee significa che si sta troppo con il peso spostato indietro. Il peso va spostato in avanti verso il ruolo tipico del giornalista. Un ruolo molto semplice che è quello di fare le domande. Così si esce anche dai populismi perché ce ne sono tanti, di tante forme diverse".A questo proposito nel suo libro cita la classifica di Freedom House che, sulla libertà d'informazione, mette l'Italia al 72esimo posto al mondo, fra i Paesi "parzialmente liberi", insieme a Benin, Hong Kong e India. Che i giornalisti tornino a fare domande è sufficiente?
"Si parte da qui. Ma questa classifica pluricitata ci dice che in Italia serve una legge antitrust che sbricioli le proprietà, quindi che obblighi
"Certo, è fondamentale. Però non si può andare avanti con tre reti pubbliche e tre reti nelle mani di un personaggio politico. Bisogna spacchettare questa situazione e crearne una tutta nuova".A proposito,
"E' bellissimo, stupendo (ride ndr). Mi spiace, non posso dire di più".
Fonte: tiscali
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