Donne martiri, vittime sottomesse, pronte al sacrificio di sé in nome della fede. Senza ingombrare troppo il campo riservato ai santi martiri maschili di cui la chiesa cattolica ha riempito i suoi calendari. Maschilismo in salsa teologica, mentre un ruolo minore, subordinato alla gerarchia affidata agli uomini, è riservato alle donne tanto in ambito ecclesiastico che, allargando il campo, a quello della società italiana tutta. Il tema, provocatorio e infatti sta suscitando dibattiti a ripetizione, è rilanciato da Michela Murgia nel suo nuovo libro Ave Mary, pubblicato da Einaudi. Il 27 maggio, dopo un mini-tour della scrittrice tra tv e giornali (con alcune tappe in compagnia di Gad Lerner che ha collaborato al laboratorio di giornalismo promosso dall'autrice) è in programma la prima presentazione in pubblico del libro, alla Mediateca del Mediterraneo di Cagliari, in compagnia della giornalista Ritanna Armeni.
Michela, cosa risponde a chi la accusa di non dare abbastanza spazio, nel suo libro, a donne che dovrebbero controbilanciare l'immagine della donna vittima silente strumentalizzata dalla chiesa? Ad esempio figure come Caterina da Siena o Chiara da Assisi?
"Intanto è tutto da dimostrare che la vita di queste donne di spiritualità faccia davvero da contraltare all'iconografia ecclesiastica che si basa soprattutto sulla figura della donna martire. Se mi avessero parlato di Giovanna D'Arco sarei stata d'accordo, ma non mi risulta che la pulzella d'Orleans sia santa né oggetto di preghiera. La questione è: quali figure femminili legate alla fede e alla preghiera sono entrare nell'immaginario collettivo? Da questo punto di vista Maria madre di Gesù Cristo è imbattibile".
Insomma, il mondo cattolico non ha una figura tipo quella della martrire pagana Ipazia di Alessandra, donna colta, determinata e indipendente, infatti massacrata dai cristiani.
"Non ce l'ha, o se è probabilmente esistita certo non ci viene raccontata da nessuno. Ma esistono figure interessanti, come Miriam, sorella di Mosé, che però nella Bibbia viene punita per la sua intraprendenza".
Di solito se si parla di sciovinismo maschilista legato al testo biblico il dito accusatorio viene puntato contro Paolo di Tarso, grande sistematore della prima congregazione cristiana dopo la scomparsa di Cristo e di molti dei Dodici. E' d'accordo con questa impostazione?
"Per niente. La colpa è dei troppi traduttori imprecisi o in malafede delle parole di San Paolo. Ad esempio, quando l'apostolo usa la parola diacono, questa viene tradotta in modo letterale, quando si traduce in riferimento a una donna i traduttori occidentali traducono, non a caso, collaboratrice. Paolo fotografava la realtà cristiana del primo secolo, dove figure ministeriali femminil non mancavano di sicuro, ma la portata detonante di queste affermazioni è stata prontamente ridimensionata".
Qundi è da imputare ai traduttori la forzatura di passi dalle lettere di Paolo in cui l'apostolo ordina alle donne di stare in silenzio e vieta loro di darsi all'insegnamento?
"Non sono cattive traduzioni. Paolo scrive in un contesto fortemente ellenizzato dove si poneva il problema dei carisma incontrollabili. Anche Gesù Cristo dice di non chiamare nessuno padre sulla terra, perché uno solo è il Padre, in cielo. Ma non per questo i preti non si fanno chiamare santo padre. E' una questione di pura convenienza, come si vede".
Tornando a Maria, cosa si può riscoprire della figura della madre di Cristo?
"I vangeli biblici sono più che sufficienti a sapere quanto basta, inutile rivolgersi a libri apocrifi. Nella Bibbia Maria non è affatto descritta come ce la racconta la tradizione ecclesiastica. Questa figura di donna perennemente giovane e vergine, il capo reclinato e il velo di santità già sul capo, non tiene conto della realtà. Maria era una donna comune che seppe vivere con consapevolezza la sua straordinaria gravidanza. Teniamo conto che allora i matrimoni erano concordati, c'era un periodo di fidanzamento durante il quale gli sposi continuavano a vivere dai genitori e non avevano rapporti sessuali. Se in quel periodo si restava incinte, le possibilità erano due: o ti eri concessa al tuo fidanzato, e per quanto grave la cosa veniva riscattata dal matrimonio, oppure eri stata con un altro, con il rischio di essere ripudiata e lapidata. Le prime spiegazioni Maria le dovette proprio a Giuseppe, ma attese prima di parlare, andando per un periodo a stare dalla cugina prossima al parto. Quando Maria incontra di nuovo Giuseppe ha già il ventre grosso, immaginiamo il suo coraggio, la consapevolezza con cui affrontava il suo percorso".
Indicativa della grande considerazione che Gesù nutriva per le donne è anche la sua decisione di far annunciare da loro il suo risorgere dalla morte.
"Certamente. Consideriamo che a quel tempo la parola delle donne non era considerata degna di considerazione nei tribunali, Cristo è stato davvero rivoluzionario".
Il modo in cui è intesa la figura femminile nella società italiana deriva dunque dall'impostazione che ad essa ha dato la chiesa?
"Non del tutto, ovviamente. La chiesa è il più potente fra i generatori dell'immaginario collettivo, ancora di più che la tv, che pure fa da tempo la sua parte in modo sostanzioso. Ma è anche giusto puntualizzare che la chiesa non è un monolite, esistono dibattiti al suo interno tra il fronte conservatore e coloro che invece spingono per una teologia più progressiva, da tutti i punti di vista. Una teologia, dunque, molto lontana dall''impostazione tanto di Wojtyla che di Ratzinger".
Insomma, lei è una estimatrice della chiesta valdese, che da grande spazio alle donne, anche a livello gerarchico.
"Oh, questa è una domanda a cui è praticamente impossibile non rispondere sì. Ho grande rispetto e stima per la chiesa valdese, e per quella evangelica in generale. Ma il discorso sacramentale, in particolare l'eucaristia, restano per me imprescindibili. Il che non toglie nulla alla mia considerazione della vivacità e libertà teologica che si trova nella chiesa evangelica".
Fonte: tiscali
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