Il mafioso, l’omertà e la vendetta. Il mito della falsa giustizia mafiosa e i falsi riti mafiosi. Sono temi oggi ampiamente sdoganati da ogni mezzo di comunicazione incluso il cinema. Eppure apparivano dei veri tabù nel 1956, quando il maggiore Renato Candida scriveva “Questa mafia”. Trasferito da Torino ad Agrigento nel 1955 al comando del Gruppo dei Carabinieri, combatte la mafia, la studia, ne scrive un libro dal titolo particolarmente esplicito e abbatte il muro dell’omertà in Sicilia. Il libro e le sue successive riedizioni divennero una pietra miliare nella lotta al cancro mafioso, fenomeno ancora a lungo negato dallo Stato e che <<si diceva e si voleva oscuro, se non addirittura inesistente>>.
Salvatore Sciascia Editore di Caltanissetta ripubblica oggi “Questa mafia” di Renato Candida, mantenendo la presentazione originale di Leonardo Sciascia del 1983. Delle prime edizioni non resta che qualche copia custodita da collezionisti e appassionati.
Tra gli innumerevoli libri sulla mafia che oggi troviamo in libreria, “Questa mafia” non parla di “trattativa” e neppure delle tristemente celebri stragi. Anzi nel 1956 di mafia neppure si poteva parlare. E’ invece come una fotografia che fa rivivere e percepire il dramma della popolazione oppressa dalla mafia. La vecchia mafia, quella con la coppola, apparentemente così diversa da quella attuale ma simile nella sua essenza. Candida ripercorre le origini e l’evoluzione del fenomeno fino al dopoguerra, fa un minuzioso identikit del mafioso e soprattutto riporta i più significativi episodi di vita quotidiana trasportando chi legge direttamente nella “scena del crimine”. Come l’uccisione di un coraggioso allevatore. Un ragazzo onesto, l’unico in paese a non inchinarsi al passaggio di un noto mafioso e perciò, per paura, gradualmente emarginato. Fu aggredito da quel mafioso lungo una strada di campagna ma riuscì a difendersi uccidendolo. Tempo dopo la mafia si vendicò per il suo affronto.
Il celebre scrittore siciliano Leonardo Sciascia dichiarò di essersi ispirato all’amico Renato Candida <<…non solo per “Il giorno della civetta” ma per ogni mio racconto in cui c’è il personaggio di un investigatore>>. Si conobbero ad Agrigento e continuarono a frequentarsi per tutta la vita.
Dopo appena un anno dalla pubblicazione Renato Candida verrà nuovamente trasferito a Torino, «...il fatto è che appunto quel libro, che doveva apparire come una ragione per tenerlo ad Agrigento, sarà diventato ragione per allontanarvelo» secondo Sciascia. Quattro edizioni, una versione in portoghese e adesso la quinta edizione con due ulteriori prefazioni, fu tra i volumi più utili alla comprensione della psicologia e dei meccanismi di funzionamento di “cosa nostra”.
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