La figura di Claudio Lo Cascio, morto ottantottenne nella notte tra il 2 e il 3 febbraio, resta fondamentalmente legata al suo grande ruolo di divulgatore della musica jazz nella nostra città a far data dalla seconda metà degli anni '50 con la formazione del New Jazz Quartet (vi figuravano altri due storici solisti come il vibrafonista Enzo Randisi e Gianni Cavallaro alla batteria), fino a pochi anni addietro, momento in cui la depressione per i malanni dell'età avanzata lo allontanò dalla ribalta.
Fu personaggio colto (per 16 anni stimatissimo critico musicale del Giornale di Sicilia e collaboratore della RAI regionale) oltreché pianista, compositore e arrangiatore, direttore orchestrale, docente di Storia ed Estetica del Jazz al Conservatorio Vincenzo Bellini.
Si impegnò strenuamente, primo in Italia dal lontano 1961, in una rigorosa ricerca genealogica delle espressioni musicali folcloriche di nazionalità europea per dimostrarne concretamente la possibilità d'innesto di peculiari improvvisazioni che potessero portare l'impronta di un jazz propriamente europeo felicemente alternativo a quello americano.
La sperimentazione avrà una lunga gestazione che vedrà il punto d'arrivo nel 1975 nella pubblicazione del disco Oleodotti a sud est con le elogiative note di copertina di Franco Fayenz.
Ma Claudio è instancabile. Nel 1976 recupera a proprie spese la settecentesca Villa Pantelleria e lì fa nascere il centro culturale interdisciplinare Django Reinhardt in cui vige la parità di genere tra i vari tipi di musica. Va ricordato a tal proposito che appaiare il jazz alla musica colta era una scommessa fatta da Lo Cascio sin dagli esordi con il New Jazz Quartet in cui si riproduceva il repertorio del leggendario Modern Jazz Quartet di John Lewis scegliendo brani della tradizione classica e rileggendoli in chiave jazzistica.
Così Claudio riuscì - correva l'anno 1958 - nell'impresa di tenere due concerti di jazz nel Conservatorio di Palermo. Dirà in una illuminante intervista rilasciata allo storico Giuseppe Sole nel 2005: A Palermo, quando io iniziai a fare del jazz, la musica afroamericana era assimilata alla musica leggera; anzi alla musica leggera con "l'alito pesante". (...) Di fronte a questi atteggiamenti, ecco che la nobiltà della musica del Modern Jazz Quartet, che mutuava procedimenti tipici della musica barocca come il canone, la fuga, ecc., mi servì per buttare in faccia alla borghesia palermitana il valore inconfutabile di quel jazz che io stavo loro proponendo e che meritava la medesima attenzione che essi avrebbero prestato a un'opera di Mozart. (...) Per esempio, la parte fugata di "Django" come se io e il mio gruppo stessimo suonando un divertimento di Mozart.
L'attività del Centro Reinhardt si interruppe bruscamente dopo 14 anni per un ingiusto sfratto. Claudio continuò a suonare, comporre, dirigere band, insegnare, fino al silenzio degli ultimi anni.
Fonte Immagine: Facebook
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