Franco Battiato è stato uno dei più importanti autori intellettuali italiani di Musica. Infaticabile sperimentatore, si è cimentato in una vasta gamma di generi musicali (dal pop al prog, dall'etnica all'elettronica fino all'avanguardia), ha composto opere liriche e musiche per balletti, ha dipinto quadri e girato film per il grande schermo.
Cerebrale sì, ma dotato di una sensibilità non comune, inquieto e tormentato, è costantemente proteso verso una faticosa ricerca spirituale. Nel panorama musicale italiano, artisti eclettici ed influenti come lui se ne contano pochissimi, se non nessuno.
Il cantautore nasce il 23 marzo del 1945 a Jonia, (Giarre) un paesino in provincia di Catania. Siciliano d’origine dunque, porta costantemente le tracce di questa sicilianità anche nella sua musica, non solo nei temi, nei ritmi e nelle melodie, ma anche nella lingua, come succede ad esempio in “Stranizza d’amuri”. Contenuta nell’album “L’era del cinghiale bianco” uscito nel 1979, in cui il cinghiale bianco non è altro che un’ampia metafora, simbolo di guida e di conoscenza, la canzone è espressione di quell’amore adolescenziale che coglie all’improvviso e che sembra scuotere fin dentro l’anima, fino anche a far svanire tutto quello che c’è intorno.
Quindi, un’attenzione per l’amore già riscontrabile fin dai primi testi; amore per “l’amore”, amore per la musica, amore per Dio, quel Dio che, per il cantautore siciliano, non è altro che continua, costante ricerca mai conclusa. Come ha dichiarato Battiato stesso:
«La Bibbia è uno dei libri chiave della mia vita. L’ho letto da cima a fondo almeno tre volte. E ogni volta mi è sembrato tutto nuovo. Io ho una relazione mistica con il creato, la mia idea del divino è la mia ricerca. Diffido della religione ridotta a istituzione, di chi ti vuole convertire, di chi cerca di evangelizzarti. Credo invece nella meditazione, nel raccoglimento, nel silenzio».
Un cammino spirituale, quasi mistico, caratterizza tutta la vita di Battiato, il quale costantemente tende a qualcosa di divino, di perfetto, qualcosa che trascenda la mediocrità dell’uomo (“Bandiera bianca” del 1981 – che si rifà a “Mr. Tambourine Man” del 1965 di Bob Dylan – “siamo figli delle stelle pronipoti di sua maestà il denaro / A Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata, a Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie”), le sue mode passeggere e i suoi miti di ogni sorta e genere, per trovare finalmente quei valori di cui tanto parla nelle sue canzoni, e per giungere alla conquista di quella verità continuamente e costantemente anelata. “Continua” mi sembra l’aggettivo più adatto per descrivere la ricerca del cantautore, il quale afferma che: «L’intelligenza si deve comunque allargare sempre di più, come i cerchi concentrici provocati da un sasso buttato in uno stagno, come le onde sonore. Più spazio invadi con il pensiero, più intelligente sei». Emblema di questa costante ricerca di Dio è la canzone “E ti vengo a cercare”, contenuta nell’album “Fisiognomica” uscito nel 1988, il cui titolo esprime già questa autentica necessità di trovare Dio.
Forte in questo senso è l’attenzione di Battiato per la filosofia sufi.
Il sufismo infatti è una sorta di ricerca mistica, il cui scopo è la conoscenza diretta di Dio e una commistione totale con il divino, raggiungibile anche attraverso la musica e la danza (“Voglio vederti danzare” del 1982 – “voglio vederti danzare come i Dervisches Tourners, che girano sulle spine dorsali” – in cui i Dervisches Tourners non sono altro che i Dervisci Sari Gül, cioè un gruppo di persone che, durante i loro rituali, danzano contorcendosi come lombrichi, nella speranza di riuscire così a mettersi in contatto con la loro parte divina).
Una figura poliedrica quella di Franco Battiato che, fin dagli esordi, diffida delle banalità e delle convenzioni.
La sua è una sorta di musica d’avanguardia, una mistura di generi e ritmi, dalla musica elettronica a quella pop-rock, dalle melodie indiane a quelle arabe, da Brahms al Giappone, perché come afferma egli stesso, è sempre meglio mantenersi curiosi nei confronti del mondo, della vita e di tutto ciò che ci circonda, poiché è l’unico modo, a parere suo, di reagire alla paura di ciò che ci è ignoto e sconosciuto. Fondamentale poi nell’ultima stagione di Battiato è l’incontro artistico con Manlio Sgalambro. I due infatti sono accomunati non solo dalle comuni origini siciliane ma anche dallo stesso vissuto filosofico ed esistenziale: lo stesso Sgalambro ama definirsi filosofo “dalla testa ai piedi”. Per questo motivo la continua collaborazione tra quest’ultimo e Battiato è stata sempre piuttosto semplice, ma estremamente innovativa. Anche nel filosofo troviamo, infatti, un continuo e costante riferimento alla figura di Dio, al tema della reincarnazione e alla fede nel potere che ha la parola contro la morte e come strumento di consolazione e di cura.
Però è piuttosto riduttivo identificare Battiato con “La cura”, una delle sue più celebri canzoni che, pur essendo pura poesia di suoni e parole, rappresenta solo uno spicchio di quella straordinaria personalità che è questo grande musicista, cantautore, regista, pittore e cultore dell’arte tout court, e ci sarebbe tanto di cui parlare per ogni singola canzone da lui composta.
Pertanto, visto che abbiamo aperto questo breve excursus su Battiato sottolineando le sue origini natali, noi di Palermomania vogliamo concludere salutandolo in nuova vita con una “pagina” musicale che, anche se meno conosciuta rispetto ad altre canzoni molto più famose, rappresenta degnamente la nostra terra, in cui attraverso la fusione della dolcezza della poesia di Battiato e la splendida, calda ed eterna voce di Giuni Russo possiamo respirare “Aria di Sicilia”.
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