Se un opinionista impegnato nelle vicende culturali e politiche di questi mesi, dovesse ricomparire dopo un lungo periodo di assenza, di sicuro non meraviglierebbe nessuno col dire che tutto si trova allo stato di prima, cioè i mesi passano ma le vicende del mondo vanno sempre più o meno allo stesso modo, cioè vige una specie di stallo organizzato su cui vive il fare politico per cui oggi si grida e per cui pare ci si distrugga. Ed è lo stallo voluto dagli attuali protagonisti della politica, per i quali questa conta ed ha come obiettivi il sempre maggior peso acquisito o da acquisire dalla persona che funziona da leader. Niente dunque pensieri e preoccupazione di promesse e progetti di un paese che deve invece progredire, soprattutto in economia. Evidentemente questo è il risultato del degrado culturale della politica stessa così come si è andata man mano a parare dopo il fallimento di innovatori e rottamatori di varia specie. Ed è un degrado che dovrebbe più che mai preoccupare anziché esser trattato come materia da divertissement, visto l’uso televisivo che ne fanno i protagonisti. Salvini e Di Maio possono anche riuscire spassosi, ma si dovrebbe ricordare loro che l’avere ridotto la dialettica politica di un paese pieno di problemi ad un continuo battibeccare per avere la meglio tra due capi, sa piuttosto di infantilismo che di abilità politica. E questo scriviamo mentre consideriamo quel che di più grave è posto sul tavolo dell’imminenza. Anzitutto la questione Europa. Dopo tante critiche e proteste e tanto darsi da fare per cambiare le cose di un progetto di unità europea che in realtà non è mai seriamente partito, ora si è giunti all’occasione propizia per venire a qualche conclusione concreta, con la circostanza del rinnovo del Parlamento europeo e delle strutture connesse. Invece pare che la cosa debba passare così come tra quelle che più sono traumatiche più vengono prese sottogamba. La gente che andrà a votare per questa nuova tornata europea, sa quello che vuole, qual è la posta in giuoco? Crediamo proprio di no. Ed ecco che ancora una volta la parola Europa passerà alle cronache come vocabolo senza precisa definizione, o con la definizione che ognuno dei politici interessati vorrà dargli, che è quanto dire parola in cerca di un senso che sia storico, progressivo, auspicabile. Ancora una volta si farà una tornata elettorale per L’Europa come un’occasione mancata per riproporre in meglio il suo processo unitario o forse per affossarlo definitivamente. Infatti, anziché dar luogo ad una campagna preparatoria di queste elezioni con argomenti fuorvianti, e sostanzialmente futili, i responsabili della politica avrebbero fatto meglio ad organizzare settimane di studi sui problemi che hanno da sempre afflitto gli stati europei, ponendoli di continuo in condizioni conflittuali; avrebbero fatto meglio a sollecitare gli intellettuali, cioè la cultura, perché tornasse a pronunziarsi su un ruolo credibile che l‘Universo globalizzato ormai richiede anche agli europei. Val la pena ricordare, a proposito, che su l’Europa, il suo ruolo, le prospettive nel tempo, la cultura è ferma all’esemplare testo del Croce Storia d’Europa del secolo decimonono. Dove il discorso poggiava sul criterio dei principi guida che determinano la dialettica progressiva di ogni entità politica che segna il tempo. Allora il principio guida era la religione della libertà, oggi non c’è un Croce che dia ragione logica ad un’idea di Europa, ma di sicuro non si cercano neppure dei principi, per cui oggi dire Europa sarebbe solo dire niente o quasi. Una considerazione questa che spiega quasi tutto e perlomeno ci rende un po’ meno ingannati su quel che potrà essere il dopo 26 p.v.
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