Oggi ricorre la festa delle donne. Tuttavia, oggi non può essere un giorno di festa. Perché?
Guardiamoci attorno e la risposta è là nel deserto dell’indolenza, del silenzio di fronte alle ingiustizie sociali ed umane, e, ancor più, di fronte alla povertà e alla fragilità di chi non può difendersi.
Sarebbe bello poter dire che, in Italia, le donne, finalmente, hanno raggiunto la parità.
Purtroppo, così non è!
Anzi, assistiamo increduli alla manifestazione di una tragica involuzione sul piano dei diritti civili ed umani di ogni essere umano ed anche, conseguentemente, della donna, che, in Italia, sembrava avviarsi, fino a pochi anni orsono, su un percorso di continua emancipazione sociale, economica e politica.
Troppi femminicidi, troppa violenza nei confronti delle donne, di varia natura, testimoniano un progressivo imbarbarimento della società attuale, che penalizza le persone più deboli e, pertanto, la donna e la relega, in modo ancor più tragico di quanto non fosse nel passato, in ambiti in cui vive l’emarginazione più degradante.
Non illudiamoci se qualche donna, forse per strategie politiche, è assurta all’assunzione di ruoli da sempre ricoperti da uomini e si dice pioniera nell’aver rotto il cosiddetto “tetto di cristallo”.
Le stragrande maggioranza delle donne italiane rappresenta, per contro, la vittima sacrificale della grave crisi economica in cui versa la nostra nazione, riflesso dell’ancor più tragica crisi dell’attuale sistema economico mondiale.
Troppi poveri, troppi emarginati.
In tale moltitudine di umiliati il numero delle donne rompe davvero “il tetto di cristallo” della povertà, in quanto disoccupate e, se occupate, mal retribuite.
Ma il dramma delle donne non è circoscritto alla sola nazione italiana, purtroppo è un dramma di dimensioni globali, acuitosi per un processo storico che ha visto il fiorire di dittature e dispotismi che umiliano i più poveri e i più deboli e, pertanto, le donne, che, man mano, si avviavano su un percorso migliorativo della propria condizione umana.
L’Afghanistan ne è la testimonianza più manifesta e più dolorosa.
Risulta evidenziarsi una verità, che pone in luce come, quando le donne diventano più oppresse ed emarginate, la violenza e il degrado sociale crescano in modo esponenziale.
Ciò si verifica proprio in quanto viene tacitata la voce delle donne, che pur reca in sé, quando può esprimersi, un’istanza materna e di Accoglienza.
Ciò si può osservare maggiormente in Afghanistan, in cui alle donne viene coperto non solo il volto, ma anche il pensiero, il diritto all’istruzione e il diritto alla libertà in ogni sua espressione.
Molti temono che, anche in Italia, le donne possano subire una sorte analoga, certo non sarà loro imposto il velo, ma potrà essere tacitata la loro libertà di pensiero.
Già il diritto al lavoro, che determina il senso stesso dell’emancipazione di ogni essere umano, in Italia sta subendo duri colpi per quanto attiene la dimensione femminile.
Noi ci chiediamo: “Se la cultura materna delle donne avesse potuto esprimersi, il dramma che ha colpito i profughi, solo pochi giorni fa, e che ha reso, ancora una volta, il Mar Mediterraneo il “cimitero dei poveri”, avrebbe potuto essere evitato?”.
Noi diciamo di si, anzi ne siamo certi!
Quel che manca nel mondo politico ed istituzionale è la cultura materna, ossia la cultura dell’accoglienza, foriera di parità e del rispetto della dignità umana, che appartiene inesorabilmente ad ogni essere umano, sia che viva in territori in cui regna la miseria materiale e morale, sia che viva in palazzi lussuosi.
Dico a tutte le donne che, come me, nutrono il sogno di un mondo più umano: “Facciamo vivere la cultura materna, quella cultura materna, colma di amore e foriera di pace, che accoglie ed emancipa ogni dimensione umana, rendendola dimora ospitale!”.
Fonte Immagine: Freepik
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