E’ stata finora un’estate dal clima pazzesco, contrassegnata da troppi incidenti e gravi disastri; né il caos ha risparmiato la politica in cui si dibatte questo nostro dolce e bel paese. Se n’è sentita una al giorno. I ministri che dicono l’uno una cosa e l’altro il contrario, salvo a correggersi all’indomani. Il presidente della camera che contrasta il suo Governo e quelli che l’hanno eletto; il medesimo Governo si esprime con un ministro degli esteri che pure lo smentisce; mentre la Commissione europea, nata per far fronte ai problemi comunitari, se n’infischia del problema più urgente che è sul tappeto. Ora l’ultima: il Ministro degli interni, cioè il responsabile dell’ordine e della legalità nel paese, viene inquisito come autore di reati: e questo da parte di un magistrato che, invece d’interrogare lui, soggetto interessato, si contenta del segretario o quasi: il che, a noi che non siamo giuristi, sembra una cosa perlomeno troppo originale. Questo, a parte la considerazione, che si tratta di un intervento della magistratura contro un’azione di governo ancora in corso. Dettata da quale movente? Speriamo non per ispirazione di diversa visione politica. Un bel pasticcio. Però, intendiamoci, non è che il fare del magistrato non abbia la sua buona logica, come ce l’ha pure, nel caso, l’inquisito. Anzi, in tutto quello che oggi si va facendo e si va dicendo c’è sempre una logica; tanti, troppi parlano e fanno dichiarazioni, schierandosi ora con questo o con quello per seminare gratuita saggezza, sicché ci sono tante logiche quante teste, solo che coll’insieme e col sovrapporsi di troppe logiche nasce l’illogicità, cioè l’andare fuori dal nocciolo dei problemi che si affrontano.
La questione che oggi urge e che crea più scompigli da noi, oltre che in tutta Europa, è una sola: che fare con questi migranti che arrivano a frotte, di continuo e si prevedono infinite, con le quali si sostiene e si alimenta il crimine delle organizzazioni di scafisti, negrieri, spacciatori, e dei loro corrispondenti in terre occidentali. Andrebbe impostata un’azione internazionale ad hoc, che punti a lungo termine, come dice anche il Papa. Invece, l’ONU latita nella sua insignificanza; l’Europa, che è maggiormente presa di mira dal fenomeno, è incapace di iniziative serie, essendo sempre arroccata ai suoi nazionalismi avidi e vanitosi; l’Italia, terra di facile sbarco per tutti, è rimasta finora preda di un lassismo accondiscendente che, dietro il velo dell’umanitarismo e il vanto della generosa accoglienza, ha eluso i problemi connessi al fenomeno, ha sottovalutato il loro impatto sulle realtà regionali e il suo incidere sul futuro.
Dunque questi poveracci di africani non tutti fuggono da guerre e dittature ( e la distinzione già non è facile farla, e non si capisce poi perché tutti vengano senza documenti), ma tutti sono ingannati con la prospettiva che in Europa potranno venire a spassarsela: il che non è vero e non è possibile. E questi sono poveracci che pur riescono ad accumulare notevoli somme a pro degli scafisti; quindi, derubati, per lo più finiscono ammassati in luoghi e in condizioni disumane, e poi gettati allo sbaraglio in mare per essere raccolti o inghiottiti. Se ce la faranno, la maggior parte sarà schiava dei caporali o di altro tipo di profittatori. Insomma siamo difronte ad un esecrabile commercio di esseri umani: la questione migranti è questione di favorire, limitare o fermare la delinquenza organizzata. Salvini, da Ministro dell’interno, piaccia o no, ha dato uno scossone al problema; ha svelato l’infingardaggine dei partner europei con un’azione di fermo, in un’attesa fino all’azzardo, e posto di conseguenza il quesito di che tipo di europeismo oggi possiamo parlare; è chiaro però che i metodi e i toni di Salvini possono non condividersi, ma allora bisogna pure che si abbia da proporre cos’altro c’è da fare. Siamo ad una guerra tra chi prende di petto il problema e chi ci ricama attorno solo con sentimentalismo o mettendosi dietro il muro del tirare a campare come prima, con chi lucra vergognosamente sull’accoglienza, peggio per chi muore naufrago e per chi ha troppo porti aperti.
Intanto è alquanto deplorevole, nel frangente di un’Italia che ha meno amici perché non sta a testa china come al solito, avvertire il gusto dello sfascio da parte di chi ancora piange la politica sconfitta. E fa una certa impressione leggere interventi di opinioni in cui, anziché dare risposte plausibili per superare contrasti e intoppi, si svela l’ansia che passi presto questa fase politica, considerata nuova e retriva e si ritorni alla precedente beatitudine della prosperità imprenditoriale d’élite, bancaria, liberale e massonica. Ma è un’ansia che non tiene conto che quella rimpianta beatitudine in troppi decenni aveva umiliato le prerogative umane nel mondo del lavoro ed aveva tutt’altro che migliorato le condizioni di vita della maggior parte degli italiani, i quali perciò hanno votato Lega e Cinque stelle. E di conseguenza c’è alquanto da pensare: oggi, se Salvini si dimettesse, se questo Governo cadesse, che succederebbe? Ai posteri l’ardua sentenza.
Noi intanto estraiamo dall’accadere due considerazioni. La prima riguarda il sogno europeo. Registriamo che la sua possibile unità, ad ogni occasione impellente, si rivela una falsa attesa. Fin qui è stata coltivata un’idea di unità solo come campo di tutela di interessi centro-continentali, tenendo subordinati quelli mediterranei. Del resto la storia c’insegna che le grandi unità ultranazionali si realizzano per processi di aggregazione sollecitati da necessità convergenti uniformemente diffuse, ma soprattutto a prezzo di operazioni di conquista, o non si fanno. Ma in Europa non affiora purtroppo nessuna delle due condizioni -ci sarebbe la Germania allo scopo, ma questa vuol predominare solo per sé- per cui l’auspicata unità non si farà mai.
L’altra riguarda la condizione morale del nostro paese, che è stata e resta sempre precaria. A fronte di situazioni e accadimenti tutti hanno qualcosa da dire, da rimproverare all’altro, non c’è voce unitaria che esprima il volto di un’entità politica che tenga al suo prestigio. Paese di creativi, figure grandi e geniali, ma nella maggioranza di troppo far partito, di troppe presuntuosità individualistiche. “Ahi serva Italia, di dolore ostello,/…non donna (=dominatrice) di province, ma bordello!”. Lo scriveva già Dante (Purgatorio, canto VI), ed era il lontano Medioevo.
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