Questa faccenda di Renzi che, una volta a capo del Partito democratico, ad un certo punto lo lascia perché non può esserne più a capo, merita più di qualche commento e vale a trarne una grave lezione Naturalmente tra chi è avvezzo a pensare, perché i tempi sono tali che sono ormai troppi quelli che fanno senza pensare e quelli che né pensano né fanno. Si tratta di una faccenda che non dovrebbe sorprendere molto, stando al fatto che il Partito democratico è erede di una tradizione di partiti di sinistra che nella loro storia non hanno fatto altro che determinare conflitti interni e secessioni; ma anche perché la sostanza della politica democratica oggi purtroppo non è più l’idea da seguire o da far valere, ma l’appoggio o il proselitismo verso una persona che aspira a gestire o conservare un certo potere. Ed è quindi anzitutto una faccenda di crisi in atto del valore della democrazia. Si abbia il coraggio di dire questo a chiare lettere.
Ma la faccenda di questo Renzi, francamente un bullo colmo di presunzione e malato di politicume, merita il commento particolare perché cade in un momento delicato della politica del paese, determinando quasi un’eccedenza anomala di crisi: ciò ad ulteriore dimostrazione che il fare politica è piuttosto mestiere che con gl’interessi concreti di chi nel paese deve vivere hanno poco a che fare. Sicché verosimilmente gli Italiani ancor più in maggior numero continueranno a domandarsi perché si deve continuare a votare e qualche imprenditore intelligente e non ladro, come quello umbro, dice: io ho da lavorare e non posso perdere tempo con questa sciocchezza che è candidarsi per un seggio.
C’è da definire il nostro posto nelle strutture istituzionali europee in formazione; c’è da regolare i nostri rapporti con i grossi partner vicini, Francia e Germania; c’è da non lasciarsi travolgere dagli effetti delle drammatiche diatribe internazionali, noi che siamo nani tra giganti, e che facciamo? Ci diamo a pensare a chi, a come, a perché si va appresso a Renzi oppure no. Si dà il benvenuto o meno ad un nuovo partitino come se non bastasse la futilità di proposta politica di quelli che già ci sono. Perché la questione è che, specie negli ultimi decenni, il fare politica si è man mano deteriorato al punto da costituire un mondo astratto, appannaggio di iniziati, avulso dalle ragioni per le quali la politica dovrebbe esistere. I problemi della gente, quelli del mondo del lavoro, quelli dell’ordine pubblico, della burocrazia oppressiva, costituiscono materia d’uso retorico per la piazza, come i manifesti che all’indomani delle votazioni sono già logori e si staccano. Né c’è vero interesse a percepire qualche diversità di visione dei problemi stessi o tra i criteri di affrontarli, per cui ne è conseguito che destra e sinistra non significherebbero più nulla. In politica non è più l’idea a contare, ma l’uomo che pretende di servirsene per stare tra gli iniziati, il quale poi, se non riesce a primeggiare nel partito in cui è emerso, ne fonda senz’altro un altro che gli consenta l’ambita visibilità e il prestigio.
Così oggi troviamo logico che un Giuseppe Conte presieda il Governo, dopo essere passato da un alleato ad un altro opposto, senza scandalo; perché egli non era condizionato da premesse teoriche o fumo di partito e poteva perciò vantarsi di esercitare solo un necessario servizio; e parimenti non ci stupiamo se uno come Renzi, ambendo alla poltrona di capo a qualsiasi costo, lasci il suo partito e se ne crei un altro. Infatti la sua politica sta al concetto che essa è fatta ormai di personalismo assoluto. Non vale parlare ancora di principi, conta il personaggio, il suo carisma, la sua cultura - quando ce l’ha - e i suoi proseliti, il cui numero è garanzia del suo spessore e delle possibilità del suo potere. E, difronte al personaggio, all’opinione pubblica non resta che comportarsi come al teatro: applaudire se il personaggio la diverte, dissentire se l’inganna o l’annoia. E questo magari giovandosi del salotto di Bruno Vespa, che per nonnulla è finito per contare quanto il Parlamento. Anche questo, questione dei tempi.
Che le cose stiano così, che l’ambizione umana e il vuoto culturale della politica dominano, purtroppo rischiamo di constatarlo presto ulteriormente.
Infatti si è riusciti ad avere un Governo senza ricorrere a nuove elezioni e del quale fanno parte diversi renziani, ma è da temere che al fischio del capo questi saranno di certo pronti a infischiarsene delle urgenze del paese e del giuramento fatto, e chi sa come finirà. Le occasioni di ricatto sono tante, gli appetiti pure. E Renzi è giovane e, a quanto pare, fame ne ha tanta.
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