Due sono state le notizie che hanno ingrossato i titoli dei giornali in questi ultimi giorni: quella del declassamento sancito dall’agenzia Moody’s sull’economia d’Italia e quella degli appunti di grossa ignoranza della storia avanzati sul Corriere nei confronti di un’opera letteraria, alquanto celebrata nell’ambito della cultura d’Italia. Due notizie che paiono non avere a che fare l’una con l’altra e che invece, a nostro giudizio, hanno un fondamento comune: l’interscambio tra il dimenarsi in un pantano senza futuro della politica e un presente di primi piani della cultura, della letteratura in specie, nutrita da interessi asfittici e da figure inadeguate. L’una e l’altra cosa sintomo di una crisi di valori universali che caratterizza l’epoca e la difficoltà di uscirne.
L’agenzia Moody’s si pronunzia a sfavore, lo spread s’innalza minaccioso ad ogni parola che fuoriesce dai politici innovatori; ad ogni parola; figuriamoci che potrà succedere andando avanti coi fatti. Per cui l’opposizione ne approfitta per sbandierare contro gli attuali governanti il pericolo di un disastro imminente e, sottintendendo, se non si ritorna a come si stava prima, con i giovani senza prospettive, con sacche irrimediabili di miseria, il sud irredimibile, e i ben noti affaristi, imprenditori, berlusconiani ed affini che se la spassano trattando piuttosto con capitali all’estero, come entità d’altro paese e d’altra razza. D’altra parte la politica dei nostri giorni è gestita da un tandem tutt’altro che omogeneo, formatosi su un patto in cui dovrebbero stranamente convivere tesi ideologiche e punti di vista concreti del tutto opposti, cioè un patto che poggia su di un rischio continuo di conflittualità. Una stranezza insomma, nella quale emerge soltanto l’intelligenza, con la straordinaria pazienza, del presidente del Consiglio professor Conte, che accorre qua e là, media e tampona con quasi eroica tenacia. E a questa situazione politica per più versi precaria, al momento non c’è alternativa plausibile. A meno che non si pensi che si possa rinsaldare un altro patto già rancido, quello del Nazareno, col quale la Lega si converta, il Partito democratico rialzi la testa e Berlusconi torni a essere l’arbitro della situazione ingarbugliata. Ma questo nella situazione attuale nessuno lo vuole. Dunque l’Europa ci tratta male, la finanza ci vuole strozzare, il governo è precario, l’opposizione strepita ed offende ma non è in grado di agire, strisciando tra i piatti rotti che i suoi vari capi si continuano a tirare, insomma siamo come in un pantano, nel quale è comunque saggio per il momento restare ad agitarsi.
Eppure da tutto ciò dovrebbe vedersi chiara qualche lezione. La prima è che i poteri della finanza reggono e dominano il mondo. Ogni situazione politica dei vari paesi ne è condizionata, i sistemi su cui prospera non vogliono disturbi, per cui è difficile se non impossibile qualsiasi svolta. Nei sistemi democratici, come il nostro, le elezioni possono cambiare le maggioranze, ma queste poi sono sempre costrette ad adeguarsi e tentare non riforme ma riformette marginali. Inutile illudersi e, per esempio, preannunziare la fine della povertà. Le vere svolte storiche vogliono altre forme d’urto che non i comizi.
L’altra lezione è nel riproporsi del mai sopito dualismo tra il Nord e il sud di quest’Italia, mai veramente unita per interessi economici, tradizioni e disponibilità di risorse. Per cui se Di Maio e Salvini litigano siamo nella logica delle cose, e il loro appaiarsi può sostenersi soltanto, se lo vogliono davvero, nell’impegno sull’immediato che riguardi tutto il paese: il sostegno al mondo del lavoro, e soprattutto la lotta alla corruzione. E sarebbe già abbastanza.
Passando all’altra notizia, qualcuno potrebbe meravigliarsi dell’accostamento che abbiamo fatto, per cui vogliamo ricordare che il nostro commentare suole andare oltre la cronaca e toccare quanto può leggersi al fondo di ogni vicenda. Ebbene è accaduto che Antonio Scurati, un autore italiano non privo di vena espressiva ma che noi riteniamo di mediocre inventiva, molto in auge anche sul Corriere, abbia pubblicato una nuova opera come romanzo dal titolo M. Il figlio del secolo. Subito è stato osannato dalla critica e l’opera è svettata in testa alle classifiche dei buoni giudizi delle critica e delle vendite. Ma poiché tratta di Mussolini e connessi, incorrendo in diversi ed evidenti errori circa figure, situazioni e date, il noto opinionista Galli della Loggia ha scritto contro una dura reprimenda, sempre sul Corriere. Ne è seguita un’accesa diatriba tra i due, difendendo l’uno la libertà di fare storia alla meno peggio da parte dei romanzieri, l’altro la necessità di non diffondere sciocchezze sui libri, a scapito della corretta informazione. Noi si può comprendere bene da che parte stiamo, tuttavia la vicenda la riteniamo degna di rilievo per significati più ampi. Ci domandiamo anzitutto come mai oggi possano passare tranquillamente le sciocchezze sui libri che pure vengono confezionati con vario e lungo trattamento da cosiddetti esperti editoriali e con una sigla, un dì prestigiosa, quale è Bompiani. E come mai vengono apprezzati oggi autori che hanno poco da dire di nuovo, nei giornali pur dotati di giornalisti colti. Viene fuori la verità: che oggi ci si fa strada non perché viene scoperto un sicuro e nuovo valore, ma per l’instaurarsi di utili rapporti casuali. E oggi, una volta che un nome riesce a ben circolare, non si va più per il sottile: l’autore è ritenuto importante piuttosto se fa guadagnare soldi. Già, soldi; siamo sempre là: è l’epoca in cui la ricerca dell’umano nel profondo del divenire e del destino non desta interesse né ha più seguito, contano gli affari; l’approssimazione, col plauso immediato dell’oggi, e il precario vincono in politica e dominano persino nella letteratura.
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