Tra una riflessione e l’altra di questi giorni di moria incombente è venuto di pensare al Leopardi, in particolare alla sua vicenda da intellettuale, allorché avvertiva come alla natura maligna basta un nonnulla per gettare nel panico l’umanità e annientare in un deserto di distruzione le sue altezzose conquiste dei secoli. Trovatosi nel circolo fiorentino tra i celebratori del vento inarrestabile del progresso, quelli delle celebri “umane sorti e progressive”, veniva apprezzato come poeta ma considerato con compassionevole e talvolta velenosa sufficienza circa le idee sui limiti umani che energicamente affermava. Oggi dovrà ancora dirsi che Leopardi aveva più che ragione, il suo pensiero è in continua rivincita, perché di fatto anche noi non siamo che figli di una presunzione illimitata per quel che è stato realizzato nei vari campi della scienza e della tecnica: siamo stati sulla luna, siamo in grado di annullare ogni distanza, siamo capaci di sintetizzare il globo coi suoi moti e i suoi contenuti tutti su un rettangolino metallico, innalziamo ponti e costruzioni oltre ogni ardire; ma alla sola notizia della comparsa di qualcosa meno che un insetto, ignota e imprendibile, le città si svuotano, si sparge dappertutto un sinistro silenzio di morte, gli uomini sono costretti a muoversi imbacuccati come mummie o per lo più a scomparire chiusi come prigionieri nelle case, ad attendere spaventati continue notizie di ricoveri e di morti.
Oggi non c’è un Leopardi che ci gridi “secolo superbo e sciocco”, ma forse ci vorrebbe e come. Specie se pensiamo che a forza di conquiste tecnologiche (la tecnologia che ormai s’è ingoiata le libere scelte dell’uomo!) si è giunti all’assurdo che la pace nel globo si sostiene in virtù delle capacità di distruzione che si possiedono, cioè le bombe atomiche. Oggi il prestigio di uno stato poggia meno sul benessere del suo popolo e più sulle possibilità che ha di seminare distruzione. Ebbene la storia, che non presenta ripetizioni ma senz’altro analogie, ha frequentemente registrato l’avvento di pestilenze ed epidemie varie, e l’uomo è stato perciò sempre in continua lotta contro il male, quale periodicamente la natura gli lancia contro, e certo il suo vero progresso è cogliere esperienze da ogni evento negativo e trovare sempre nuovi rimedi. Questa sua lotta è necessaria, perché non ha forse altro senso l’evolversi della storia stessa. Il problema è però con quale coscienza essa si affronta, se cioè l’uomo combatte la sua battaglia per vincere i mali della sorte, della natura, con o senza consapevolezza dei suoi limiti, cioè scordandosi di essere uomo e non Dio. Ecco, la vicenda di questi mesi, se sarà occasione di riflettere in questi termini, gioverà per un po’ di recupero dell’umanità dell’uomo. Privati, addirittura senza processo, della libertà individuale, come siamo ridotti dalla necessità; sbaragliati al primo colpo con tutta la mole della nostra scienza da un nonnulla di virus, non è male tornare a fare i conti con la ricerca di valori e, tornando al suggerimento del Leopardi, alla nostra capacità di essere uniti, solidali, contro “il male che ci fu dato in sorte”.
Accanto a queste di etica generale, con l’occasione, vengono da fare anche altre riflessioni che riguardano più praticamente il contesto storico dell’accadere. Quel che si sta vivendo oggi in Italia metterebbe in risalto la verità sulla unione europea possibile, sempre attuale, sempre in discussione. A quanto pare da parte delle istituzioni europee in questi giorni si usa un linguaggio di amicizia e solidarietà, e speriamo che sia seguito da atti concreti e utili; ma nelle prime settimane in cui l’Italia denunciava la sua situazione precaria, non si sentiva altro che chiusura di frontiere e dai mass media non giungevano che riserve e persino ironie. Sembrava ovvio che l’Italia fosse un paese da isolare, perché ora pure paese da untori mentre in genere è stato da spendaccioni e scansafatiche. E perché da un lato questo nostro povero paese paga la grandezza della sua storia, sicché è come per un istintivo senso di rivalsa che i vecchi barbari, fattisi ricchi, provino gusto a dirne male alla prima occasione; dall’altro torna evidente che, quando occorre attestare in concreto il senso di unità, l’Europa riveli la sua realtà fatta di nazionalismi avidi e irriducibili. Di conseguenza noi che da un pezzo denunciamo che le strutture europee poggiano purtroppo su un’idea già fallita e che sarebbe da rifondare, vogliamo ciò nonostante auspicare che finalmente da Bruxelles non ci giungano solo parole, che Germania e paesi nordici pensino meno alle loro botteghe, e che questi tristi tempi della pandemia spingano alla buona causa e ci facciano sentire tutti davvero europei. Lo speriamo. Comunque l’occasione è unica perché circa questa Europa dei popoli, cara, grande, vecchia, incoerente, si faccia ormai chiarezza.
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