Non siamo i primi né è la prima volta che su questo giornale denunciamo la situazione di precarietà della scuola italiana, lamentando con ciò il disinteresse della politica per quello che invece dovrebbe essere il volto caratterizzante il nostro paese sul piano della sua buona crescita umana e civile. Da troppo tempo assistiamo infatti ad un continuo alternarsi di mezze figure della politica stessa che, poste a dirigere l’istruzione, un dicastero che non consente distribuzione di risorse da far proseliti ma piuttosto consumo di esse, si sono dati da fare con riforme e riformette, e insomma con buone intenzioni, ma mai con la volontà e la sostanza culturale di fondo con cui affrontare i problemi della scuola, cioè le sue vere motivazioni, i suoi obiettivi urgenti in una realtà in movimento quale l’attuale. E’ mancato insomma sempre un progetto rispondente alle necessità del materiale umano che la scuola è tenuta a trattare, partendo anzitutto da una profonda verifica delle condizioni di tale materiale, quale è consegnato da una vicenda storica di globalizzazione e, purtroppo, di disumanizzazione. Qualcosa si è fatta sul piano delle forme, mai intaccando la sostanza, cioè i contenuti di quello che fa la scuola, insegnare, far maturare, sicché ora si è ritoccato qua, ora si è ritoccato là, con dispositivi e ordinanze che non hanno smosso in nulla il senso di tempo perso per acquisire un diploma con cui i nostri giovani sopportano la scuola. Il poco di buono finora si è salvato solo per l’estro e l’iniziativa di appassionati, che ancora ci sono; ma mai che si sia partiti in qualche modo, serio e conseguente, col domandarsi, che tipo di uomo si vuole oggi che venga fuori da un soggetto che ha frequentato la scuola per tredici anni, tra elementari e superiori.
Eppure gli anni di scuola, che da sempre hanno scandito gli anni della crescita dell’individuo, restano indimenticabili per le esperienze che nel bene e nel male hanno favorito o condizionato tale crescita, sicché il problema riguarderebbe il come aggiornarli, su quali idee di supporto va pensato il processo formativo dell’individuo, giacché sia chiaro e incontrovertibile il fatto che tale processo non può che essere di natura umanistica. Il soggetto che cresce tanto più si fa individuo utile alla società quanto più è in grado di comprendere, valutare, fare delle scelte. E non dovrebbe avere altro obiettivo di fondo una scuola che funziona: orientarsi su tale obiettivo, guardandosi dal rischio che esso non venga travisato da troppe invasature telematiche e affini.
In questi giorni molto si discute di esami di maturità, che sono la meta finale degli anni di studio secondario previsti in Italia. E, come ogni anno, chi sa quali proposte nuove si sarebbero avute; invece è accaduto che il virus epidemico in corso ha sconvolto ogni piano né poteva andarne indenne il mondo della scuola. Sicché con l’avvicinarsi della chiusura dell’anno scolastico e quindi con l’obbligo di celebrare il rito della maturità ci si chiede che fare o che fare di meglio perché quel rito non si risolva nell’assoluta insignificanza. Perché i famosi, temuti, attesi e sofferti esami di maturità restano forse l’unica cosa di una certa serietà che la scuola italiana ancora conserva. E, benché si sia visto di tutto nell’ordinarne ogni anno lo svolgimento, essi hanno il senso di un marchio conclusivo senza il quale il lungo percorso di studi non avrebbe valore né gratifica. E poiché ciò è quanto uniforma metodi, interessi, programmazioni del mondo scolastico, dalla Sicilia al Trentino, gli esami di maturità restano in fondo l’unico incentivo rimasto a coltivare la sempre traballante unità culturale del paese. E’ una realtà della quale bisognerebbe tenere più conto.
Allora, che il coronavirus rovini un anno scolastico è possibile, non salvare un minimo di serietà per gli esami di maturità sarebbe un precedente micidiale. Non dovrebbe essere difficile salvaguardare il modo che i maturandi, con le dovute precauzioni, ad uno ad uno, affrontino almeno un colloquio pubblico, come sempre è stato quello della maturità. In esso potrebbero fornire il loro breve parere su un tema generale assegnato tra le plausibili attualità, e illustrare lo svolgimento di una loro tesina su un argomento di una materia a loro scelta. I Commissari, interni o esterni non ha importanza, potrebbero valutare, insieme ad un voto riassuntivo predisposto circa gli anni di studi trascorsi, quello che veramente costituisce il livello di maturità raggiunto: corretta e magari originalità di rielaborazione, organicità di discorso e di sintesi. Un solo colloquio per un confronto aperto tra docenti e discenti in cui la parola valga soprattutto come indizio dell’evoluzione delle personalità; un confronto insostituibile, che si svolga in un clima come di cordiale e significativo commiato. Così l’emergenza darebbe dunque occasione per usare brevità e fare meglio del previsto. Ma la si vorrà davvero cercare e definire la maturità nei nostri studenti o è che ci si preoccupa solo, come al solito, di approntare statistiche e salvare vacanze?
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