"Sì, ma non c'è lavoro". Quante frasi iniziano così, quante conversazioni fanno giri infiniti eppure così ci finiscono. A livello economico - ma anche esistenziale - nessuno vive uno sconforto peggiore di chi bussa a tutte le porte collezionando "no" o non ricevendo nemmeno risposta. O forse qualcuno messo peggio c'è. Qualcuno a cui sembra di vivere un incubo, nel quale dall'oggi al domani la vita cambia per sempre e prende una piega che dà sull'ignoto: sono i disoccupati di oggi che ieri non lo erano ancora, e che a un certo, casuale punto della vita, non sanno più come vivranno. Pensare a loro come a una realtà distante anni luce da noi, sarebbe stupido: sono tanti, molto diversi tra loro e non rappresentano una categoria precisa.
Nel maggio scorso, l'Istat consegnava una controversa istantanea del nostro Paese: a marzo registrati 62mila occupati in più, e tasso di occupazione al 58,3% (livelli pre crisi) con disoccupazione all'11%. Allo stesso tempo però, dei 62mila nuovi lavoratori, 56mila erano indipendenti (liberi professionisti, artigiani, imprenditori ecc), mentre solo 6mila dipendenti. Male anche il rapporto tra i dipendenti a termine e quelli a tempo indeterminato: +8 mila per i primi, contro -2 mila per i secondi. In buona sostanza, disoccupazione stabile ma occupazione pericolante e incerta.
Nell'immaginario collettivo tradizionale, tra i siciliani e la voglia di lavorare sodo c'è un abisso profondo e pericoloso almeno come il cratere dell'Etna. Scansafatiche, zavorra d'Italia, opportunisti, ladri: se volessimo scrivere quante ne abbiamo sentite sul nostro conto, non ci basterebbe il web. E invece, i siciliani veri non solo lavorano sodo, ma pure il lavoro lo perdono in un batter d'occhio. La fine della scorsa settimana ha portato con sé la fine di un colosso del commercio, Mercatone Uno: si è concluso il percorso sulla cessione dei 68 punti vendita del gruppo in amministrazione straordinaria. A una settimana dall'intesa raggiunta per il passaggio di 55 punti vendita alla Shernon Holding srl, i sindacati e le direzioni societarie di Mercatone e Cosmo spa hanno firmato l'accordo sulla cessione dei 13 negozi. Tra essi, c'è anche quello di Palermo. A usufruire del passaggio alle dipendenze dell’insegna abruzzese di moda low cost Globo saranno solo 28 dei 46 addetti vendite totali del capoluogo siciliano, che verranno assunti dopo gennaio in regime di part time a 24 ore settimanali. L'esubero si attesta al 40%. I lavoratori palermitani passeranno dunque dal full time al part-time, e i dipendenti non trasferiti saranno collocati in cassaintegrazione straordinaria a zero ore fino al 13 gennaio 2019, data entro la quale avrà efficacia la cessione. Mercatone Uno non esiste più, ma almeno ventotto persone riavranno subito un posto di lavoro. Lavoro nero, nuove assunzioni godendo degli sgravi fiscali e contributivi, caduta a picco degli standard di retribuzione perché "Che devo fare? C'è solo questo": per ventotto persone, tutto questo verrà evitato. Eppure altre diciotto, "il resto", si sentiranno decisamente meno vive di qualche giorno fa.
Ed è sempre attuale la lotta dei dipendenti dei grandi gruppi, come quelli appartenenti a due delle realtà più simboliche del pericolo di perdere un lavoro duramente sudato: nella provincia di Palermo, Almaviva e Blutec sono accomunate dal destino della crisi nera. Il polo aziendale palermitano dell'azienda di call center continua a perdere commesse importanti (l'ultima, Octo Telematics, dava lavoro a 47 persone) e a non dare certezze a 3mila dipendenti ormai certi di essere soltanto numeri; l'ex stabilimento Fiat di Termini Imerese battaglia a suon di tavoli tecnici per avere la voce che merita, in un caos di fondi progettuali da milioni di euro da restituire, neo ministri del Lavoro che non intervengono alle riunioni e ammortizzatori sociali da ricavare in ogni modo possibile per non chiudere i rubinetti a centinaia di famiglie. Famiglie che non hanno mollato, che non si rassegnano alle scadenze e che con dignità e spirito di aggregazione portano avanti una lotta per i propri diritti, per i propri figli e per la propria dignità. Forse anche per non fermarsi troppo a ricordare quando si lavorava bene, quando si valeva molto più di un compromesso, quando si faceva il proprio lavoro con piacere e non lo si detestava per essere sparito per sempre.
Come non c'era più il lavoro di Giovanni, una volta impiegato agli sportelli multifunzionali, soldato di quell'immenso esercito di ex dipendenti del settore della formazione. Oggi Giovanni non solo non ha il lavoro, ma ha perso molto, troppo di più. Sabato scorso è morto suicida per esasperazione, perché un'esistenza da ex "qualsiasi cosa ma disoccupato" non gli dava più chance di sopravvivere col sorriso. Sono già sei i casi di vittime della disoccupazione, nel settore l'hanno battezzata "La strage degli innocenti". Ma la striscia di lutti può estendersi anche a tutti coloro che per l'assenza di un vero impiego si sentono già morti dentro. In questo marasma di lavoro che alcune volte proprio non c'è, altre c'è ma non si vede, altre ancora ieri c'era ma oggi è già svanito, sembra quasi che i freddi dati sulla stabilità della disoccupazione facciano il verso a chi, di rendersi conto di non avere più un lavoro né nuove possibilità, non ha nemmeno avuto il tempo. I dati reciteranno anche "62mila nuovi lavoratori", ma di Giovanni ce n'era uno solo.
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