Il 19 marzo ricorre la Festa di San Giuseppe. Anche nota come festa del papà. Questa ricorrenza affonda le sue radici nella tradizione popolare ed ha origini antichissime.
La storia di San Giuseppe
Giuseppe nacque probabilmente a Betlemme, il padre si chiamava Giacobbe e pare che fosse il terzo di sei fratelli. La tradizione ci tramanda la figura del giovane Giuseppe come un ragazzo di molto talento e un temperamento umile, mite e devoto.
Giuseppe era un falegname che abitava a Nazareth. All’età di circa trenta anni fu convocato dai sacerdoti al tempio, con altri scapoli della tribù di Davide, per prendere moglie. Giunti al tempio, i sacerdoti porsero a ciascuno dei pretendenti un ramo e comunicarono che la Vergine Maria di Nazareth avrebbe sposato colui il cui ramo avrebbe sviluppato un germoglio. Solamente il ramo di Giuseppe fiorì e in tal modo fu riconosciuto come sposo destinato dal Signore alla Santa Vergine.
Maria, all’età di 14 anni, fu data in sposa a Giuseppe, tuttavia ella continuò a dimorare nella casa di famiglia a Nazareth di Galilea per la durata di un anno, che era il tempo richiesto presso gli Ebrei, tra lo sposalizio e l’entrata nella casa dello sposo. Fu proprio in questo luogo che ricevette l’annuncio dell’Angelo e accettò: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38).
Poiché l’Angelo le aveva detto che Elisabetta era incinta (Lc 1,39), chiese a Giuseppe di accompagnarla dalla cugina che era nei suoi ultimi tre mesi di gravidanza. Dovettero affrontare un lungo viaggio di 150 Km poiché Elisabetta risiedeva ad Ain Karim in Giudea. Maria rimane presso di lei fino alla nascita di Giovanni Battista.
Maria, tornata dalla Giudea, mise il suo sposo di fronte ad una maternità di cui non poteva conoscerne la causa. Molto inquieto Giuseppe combatté contro l’angoscia del sospetto e meditò addirittura di lasciarla fuggire segretamente per non condannarla in pubblico, perché era uno sposo giusto. Infatti, denunciando Maria come adultera la legge prevedeva che fosse lapidata e il figlio del peccato perisse con Lei.
Giuseppe stava per attuare questa idea quando un Angelo apparve in sogno per dissipare i suoi timori: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in Lei viene dallo Spirito Santo" (Mt 1,20). Tutti i turbamenti svanirono e non solo, affrettò la cerimonia della festa di ingresso nella sua casa con la sposa.
Su ordine di un editto di Cesare Augusto che ordinava il censimento di tutta la terra (Lc 2,1), Giuseppe e Maria partirono per la città di origine della dinastia, Betlemme. Il viaggio fu molto faticoso, sia per le condizioni disagiate, sia per lo stato di Maria oramai prossima alla maternità.
Betlemme in quei giorni brulicava di stranieri e Giuseppe cercò in tutte le locande, un posto per la sua sposa ma le speranze di trovare una buona accoglienza furono frustrate. Maria diede alla luce suo figlio in una grotta nella campagna di Betlemme (Lc 2,7) e alcuni pastori accorsero per fargli visita e aiutarli (Lc 2,16).
La legge di Mosè prescriveva che la donna dopo il parto fosse considerata impura, e rimanesse 40 giorni segregata se aveva partorito un maschio, e 80 giorni se femmina, dopo di che doveva presentarsi al tempio per purificarsi legalmente e farvi un’offerta che per i poveri era limitata a due tortore o due piccioni. Se poi il bambino era primogenito, egli apparteneva per legge al Dio Jahvè. Venuto il tempo della purificazione, dunque, si recano al tempio per offrire il loro primogenito al Signore. Nel tempio incontrarono il profeta Simeone che annunciò a Maria: "e anche a te una spada trafiggerà l’anima".
Giunsero in seguito dei Magi dall’oriente che cercavano il neonato Re dei Giudei. Venuto a conoscenza di ciò, Erode fu preso da grande spavento e cercò con ogni mezzo di sapere dove fosse per poterlo annientare. I Magi intanto trovarono il bambino, stettero in adorazione e offrirono i loro doni portando un sollievo alla S. Famiglia.
Dopo la loro partenza, un Angelo del Signore, in apparizione a Giuseppe, lo esortò a fuggire: "Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e sta la finché non ti avvertirò; perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo" (Mt 2,13). Giuseppe si mise subito in cammino con la famiglia per un viaggio di circa 500 Km. La maggior parte del cammino si svolse nel deserto, infestato da numerose serpi e molto pericoloso a causa dei briganti. La S. famiglia dovette così vivere la penosa esperienza di profughi lontano dalla propria terra.
Nel mese di Gennaio del 4 a.C, immediatamente dopo la morte di Erode, un Angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Alzati, prendi il bambino e sua madre e và nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino» (Mt 2,19). Giuseppe obbedì subito alle parole dell’Angelo e partirono ma quando gli giunse la notizia che il successore di Erode era il figlio Archelao ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazareth, perché si adempisse quanto era stato detto dai profeti: «Egli sarà chiamato Nazareno» (Mc 2,19-23).
La S. famiglia, come ogni anno, si recò a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Trascorsi i giorni di festa, si incamminarono verso la strada del ritorno credendo che il piccolo Gesù di 12 anni fosse nella comitiva. Ma quando seppero che non era con loro, iniziarono a cercarlo affannosamente e, dopo tre giorni, lo ritrovarono al tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati ti cercavamo». (Lc 2,41-48).
Passarono altri venti anni di lavoro e di sacrificio per Giuseppe sempre accanto alla sua sposa e morì poco prima che suo figlio iniziasse la predicazione. Non vide quindi la passione di Gesù sul Golgota probabilmente perché non avrebbe potuto sopportare l’atroce dolore della crocifissione del Figlio tanto amato.
San Giuseppe nella tradizione popolare
Nella tradizione popolare, San Giuseppe, sposo della Vergine Maria, è il santo protettore dei poveri e dei derelitti, poiché i più indifesi hanno diritto al più potente dei Santi. In questo giorno, si ricorda la sacra coppia di giovani sposi, in un paese straniero ed in attesa del loro Bambino, che si videro rifiutata alla richiesta di un riparo per il parto.
Questo atto, che viola due sacri sentimenti: l'ospitalità e l'amore familiare, viene ricordato in molte regioni con l'allestimento di un banchetto speciale. Così in alcuni paesi della Sicilia, il 19 marzo di ogni anno, si usava invitare i poveri al banchetto di san Giuseppe. In questa occasione, un sacerdote benediva la tavola, ed i poveri erano serviti dal padrone di casa.
Oltre a proteggere i poveri e le ragazze, San Giuseppe, in virtù della sua professione, è anche il protettore dei falegnami, che da sempre sono i principali promotori della sua festa. La festa del 19 marzo è anche associata a due manifestazioni specifiche, che si ritrovano un po' in tutte le regioni d'Italia: i Falò e le Zeppole.
Poiché la celebrazione di san Giuseppe coincide con la fine dell'inverno, si è sovrapposta ai riti di purificazione agraria, effettuati nel passato pagano.
In quest'occasione, infatti, si bruciano i residui del raccolto sui campi, ed enormi cataste di legna vengono accese ai margini delle piazze. Quando il fuoco sta per spegnersi, alcuni li scavalcano con grandi salti, e le vecchiette, mentre filano, intonano inni per San Giuseppe.
Questi riti sono accompagnati dalla preparazione delle zeppole, le famose frittelle, che pur variando nella ricetta da regione a regione, sono il piatto tipico di questa festa.
A Roma la preparazione delle zeppole, affiancate dai bignè di san Giuseppe, ha un fervore particolare. Nel passato, ad ogni angolo di strada era possibile trovare un banco di frittelle, e tutta la città era addobbata da decorazioni festive.
La festa del papà! Forse non tutti sanno che…..
Pochi paesi nel mondo festeggiano la festa del papà il 19 marzo. In effetti l’origine di questa data risale ad un’usanza cattolica di associarla alla ricorrenza di San Giuseppe, padre putativo di Gesù. Così, paesi di tradizione cattolica come la Spagna festeggiano questo stesso giorno. Nella maggioranza dei paesi invece la festa del papà cade la terza domenica di giugno.
L’origine di tale festività si fa infatti ricondurre agli Stati Uniti dove la signora Smart Dott, agli inizi del novecento, chiese di ufficializzare la festa del papà e lei stessa organizzò un festeggiamento il 19 giugno del 1910, giorno del compleanno del padre. Dal 1924 fu dichiarata festa nazionale e durante la presidenza Johnson si stabilì che fosse la terza domenica di giugno. I paesi che si rifanno alla tradizione statunitense sono molti, tra i quali Cuba, Francia, Ungheria e Venezuela.
In America del Sud, il giorno del papà è una ricorrenza molto sentita: si festeggiano i papà ed anche gli zii ed i nonni ed è tradizione fare un regalo. In Argentina si festeggiò la prima volta il 24 agosto 1958, in corrispondenza dell’anniversario di José di San Martin, il padre della patria; dall’anno successivo la festa del papà si festeggia come negli Stati Uniti.
Come si festeggia in Sicilia?
Il 19 marzo è la festa di S. Giuseppe ed il Santo trova numerosi devoti nella cittadina barocca ricca di bellezza mediterranea di Scicli, in provincia di Ragusa. Il Santo è il protettore dei falegnami, degli orfani e delle giovani in età da marito che lo invocano per poter contrarre un buon matrimonio. Qui il Santo è festeggiato con la "cavalcata", che ricorda la fuga della Sacra Famiglia in Egitto. I cavalli ed i muli impegnati in tale manifestazione folkloristica sono addobbati a festa con dei fiori stagionali e sono preceduti nel loro corteo da tre figuranti che rappresentano la Sacra Famiglia; S. Giuseppe è rappresentato con un mantello celeste. Quando il corteo passa per i cortei della città, i fedeli accendono dei falò, in ricordo dell'evento biblico della fuga della sacra famiglia da Erode, quando lungo il loro cammino furono aiutati dai falò e dalle fiaccole accesi dai
pastori che vigilavano le greggi.
Il Santo è molto venerato anche a Santa Croce Camerina (Rg), dove è festeggiato a partire dai primi anni del 1800 quando un nobile del luogo offrì dei campi per onorare le spese della festa e quando dei sciclitani si trasferirono in questa città e propagarono il culto del Santo. Qui il Santo è onorato attraverso la preparazione e la vendita di vari cibi, come dolci, la celebrazione della messa solenne e la costituzione di varie "Sacre Famiglie" in cui il Patriarca porta un bastone fiorito in cui è attaccata un'immagine del Santo. Le varie famiglie così costituite procedono per le vie cittadine fino a raggiungere le case dove sono state preparate delle abbondanti cene.
S. Giuseppe è festeggiato anche a Ribera (Ag), già la domenica precedente il giorno della festa con l'entrata in città dei cavalieri, i deputati della festa, che, guidati dal loro capo, accompagnati dalla banda musicale e da una squadra di tamburini e preceduti nella loro entrata in città dallo scoppio di mortaretti, portano dei rami d'alloro in onore del Santo. Questo è solo l'inizio dei festeggiamenti. Una seconda tappa prevede la preparazione della "stragula", una torre di circa 10 metri che è costruita su di un carro e rivestita con dei rami d'alloro e varie forme di pane legati tra loro con delle cordicelle; al suo centro è collocato un quadro di S. Giuseppe, il padre della provvidenza; il carro è trainato da buoi riccamente addobati.
La successiva tappa rientrante nei festeggiamenti è il banchetto di S. Giuseppe. Il giorno della festa i devoti che hanno fatto un voto a San Giuseppe hanno il compito di preparare un lauto pranzo che poi sarà consumato dai "Santi", tre figuranti che rappresentano la Sacra Famiglia. Occorre notare la notevole abbondanza di pane che è presente in questo pasto.
Il dolce tipico di questa festa nella tradizione siciliana: la sfinge di San Giuseppe.
Perché il dolce tipico di questa festa si chiama “Sfinge”? Le diverse etimologie proposte per il suo nome indicano chiaramente la sua somiglianza con una spugna. Infatti, in latino, il nome metaforico è "spongia" e questa a sua volta deriva dal greco “sfoggia”.
L’estro dei nostri pasticcieri e l’abilità delle suore dei monasteri hanno trasformato questa semplice frittella in un dolce prelibato, dedicandola al Santo protettore degli umili:come umili sono i suoi ingredienti.
I "sfingi ri San Giuseppe", come si chiamano a Palermo, proprio perché consumate in occasione della ricorrenza del santo, hanno alcune caratteristiche particolare, quali una forma irregolare, e sono inoltre condite con crema di ricotta, grani di pistacchio e scorza d’arancia candita.
Qualunque sia il nome che è dato nel dialetto o nella forma, vanno sempre ed ogni caso fritte in grassi e addolcite con miele o zucchero, così come gli arabi c’insegnarono, soprannominandole “le sfang”. Ancora oggi i nostri contadini e le nostre nonne continuano a farle con la medesima semplice ricetta.
Sfincia, sfincitedda e sfinciuni designano a loro volta prodotti diversi, appartenenti ora al salato, ora a quella dolce che designa ugualmente la stessa famiglia delle sfincie.
La ricetta della Sfinge!
Nei paesi del palermitano sono preparate in modi differenti; la ricetta che segue si riferisce alle "sfincie di prescia” approntate a Borgetto fin dall’antichità.
Occorrente:
500 g. di farina 6 uova
200 g. di zucchero 250 g. di latte
25 g. di lievito olio
Procedimento
Impastate la farina,con tre uova intere e tre tuorli, unite il lievito sciolto nel latte tiepido e lo zucchero.Lavorate fino ad ottenere un impasto morbido e lasciate lievitare fino a che l’impasto presento bollicine in superficie. In olio caldo tuffate poi cucchiaiate d’impasto.
Appena dorate, togliete le sfincie, mettetele da parte ad assorbire l’olio in eccesso e spolverate con zucchero.
Per il giorno di San Giuseppe in tutte le case del palermitano si mangia la famosa “pasta con le sarde e i finocchietti" accompagnata da un buon vinello che servirà a gustare meglio i carciofi in tegame con il tappo, meglio conosciuti come carciofi “cà tappa ‘e l’uovo”.
Questo è, tradizionalmente, l’ultimo giorno buono per gustare i carciofi; passato il 19 marzo essi cominciano ad acquisire alcune caratteristiche negative per i buongustai, ad esempio la "barba" e una maggiore spinosità.
Da noi in Sicilia questa festa è molto sentita. Di solito si festeggiano i papà con piccoli doni e pensieri. D'altronde, come sottovalutare l’importanza dei nostri papà? Sono e resteranno sempre la guida principale di tutti noi figli. Giovani o meno giovani che siate, è fuor di dubbio che il ruolo della famiglia sia di primaria importanza per tutti. E magari questa festa può essere l’occasione giusta per ricordarselo…. Spesso ci dimentichiamo il valore di tante piccole cose che abbiamo nella quotidianità e che diamo per scontate, ma invece scontate non sono affatto. Questo giorno può essere magari il pretesto per dimostrare ai papà quanto bene gli vogliamo…. e anche le persone che purtroppo non hanno più accanto a se questa persona così importante possono portarla nel cuore mantenendola sempre viva nella memoria.
Auguri a tutti i Giuseppe e tutti e papà!
Fonte: redazione palermomania.it
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