La carrozza oltrepassa la Dogana ancora avvolta nella scura coltre della notte, mentre le prime luci dell’alba iniziano a rischiarare il cielo invernale: un sottile strato di ghiaccio ricopre le pietre del selciato. Le coperte di pelliccia e i mantelli da viaggio a malapena riescono a proteggere i viaggiatori dal freddo intenso, ma nessuno se ne lagna. Il marchese Costantino e il suo inseparabile amico, il conte Federico, sonnecchiano. Vittoria invece si agita inquieta sul sedile che divide con il padre. «Smettetela» la rimprovera costui a bassa voce. Reprimendo un moto di impazienza, si rannicchia in un angolo imbronciata e chiude gli occhi. Un sorriso indulgente increspa le labbra di
Costantino, la cui indole pacata e riflessiva sovente è costretta ad arginare l’impulsività della sua giovane sposa.
Da quando Jacopo Durandi in persona li aveva invitati alla rappresentazione del suo Annibale in Torino al Teatro Regio, Vittoria era in uno stato di perenne agitazione. Piazza Castello, illuminata dalla luce fioca dei lampioni, sembra un salotto dove si è data appuntamento la nobiltà: una fila di carrozze deposita dame e damigelle avvolte in preziosi mantelli, accompagnate da cavalieri altrettanto eleganti, sotto i portici del Regio. Un impeccabile valletto in livrea accompagna il gruppo al palco riservato. Vittoria, che ha ereditato dal padre, inguaribile melomane, la passione per la musica, quando si alza il sipario viene trascinata dalle note di Paisiello nel sacro bosco assieme ai bardi, ai soldati ed al popolo taurino. Costantino osserva commosso i moti impercettibili che, alternandosi sul volto della moglie, ne tradiscono le emozioni. Costei, sentendosi osservata, nasconde il viso dietro le piume del ventaglio.
Jacopo Durandi fa una fugace apparizione per salutare i suoi ospiti. Un brevissimo coro dai toni pastorali conclude il terzo atto e Vittoria si abbandona ad un applauso entusiasta. Al braccio di Costantino attraversa il ridotto del teatro gremito, mostrando imbarazzo per gli sguardi ammirati che le rivolgono gli uomini e per quelli invidiosi delle dame. Ascolta i commenti sull’opera, per lo più positivi, e brandelli di pettegolezzi, per lo più maligni. «Provate a sorridere» la esorta il marito a mezza voce; Vittoria si adegua ai convenevoli ed elargisce la sua razione di ipocrisia.
Il marchese Federico va loro incontro e li guida verso un separé appartato. «Ho una sorpresa per voi» esordisce. «Per caso sono venuto a sapere che il giovane Mozart era in viaggio per Torino dopo aver tenuto un concerto a Verona dove ha suonato l’organo di San Tommaso Cantuariense, un Bonatti». «È un organo particolare» interviene Costantino. «Ha un prospetto a quattro campate, mentre la tradizione vuole un numero di campate dispari e, a parte, possiede un positivo tergale e un somierino, con un raro esemplare di Regale». «Amico mio, avete tutta la mia ammirazione!» esclama Federico esterrefatto. Prende la mano di Vittoria e, precedendo di qualche passo Costantino, la scorta al cospetto di un attempato signore accanto al quale siede un giovanetto azzimato. «Vi presento Leopold e Amadeus Mozart».
***
Attilio smanettò sulla tastiera del Mac ed estrasse il DVD. «Allora, cosa te ne pare?» domandò alla sua compagna. Cinzia annuì: «Avete fatto un ottimo lavoro, tu e Fabrizio» confermò, allungandogli il mug di caffè liofilizzato. «È un corto pregevole, perfettamente in linea con le manifestazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. La ricostruzione in 3D della Torino d’epoca è pressoché perfetta. I flash dell’opera di Paisiello che avete scelto si adattano al carattere dei personaggi. Gli attori, anche se sono solo allievi del corso di recitazione, hanno lavorato con professionalità. Non è facile esprimere un collage di sensazioni e di stati d’animo in un corto. Mi chiedevo - disse dopo un momento di riflessione - come mai tra tutte le opere di Paisiello tu e i ragazzi avete scelto proprio L’Annibale che non è certo una delle sue opere più famose …» «I motivi sono sostanzialmente due: l’opera è stata riproposta il 25 febbraio del 2007 al Conservatorio per cui il pubblico ne ha un ricordo recente; inoltre è un peana incensatorio del re e del popolo piemontese che tanta parte ebbero, in seguito, nella realizzazione dell’Unità d’Italia».
Cinzia ridacchiò: «Ecco spiegato il motivo per cui un re rozzo come Carlo Emanuele diede il suo benestare alla rappresentazione. Lui che costrinse Jacopo Durandi ad abbandonare la sua attività di drammaturgo se avesse voluto mantenere il suo posto di magistrato. Questo io lo chiamo ricatto!» si infervorò. «Mia cara, allora c’era il ‘veto’ del re, oggi ci sono i ‘tagli’. il risultato è lo stesso: è sempre la cultura a farne le spese». «E Mozart? Non vedo alcun nesso …» proseguì Cinzia che spesso accusava di superficialità il suo compagno. «In famiglia ogni occasione è buona per raccontare l’incontro della mia trisavola con il grande enfant prodige» disse con una traccia di fastidio. «L’avrò sentito centinaia di volte. Nonna, poi, aveva un modo tutto suo di raccontarlo; pareva una favola e mia sorella ne era affascinata. Stava ad ascoltarla a bocca aperta e se la faceva sempre ripetere un paio di volte». «Forse è allora che ha deciso di dedicare la vita alla musica. Su di te, al contrario, non ha lasciato segno» lo punzecchiò Cinzia, sapendo quanto erano state traumatiche per il marito le lezioni di pianoforte che aveva letteralmente subito per anni.
«Ti spiace se cambiamo argomento?» replicò Attilio risentito. Si alzò dalla sua postazione e andò alla finestra: sarebbe stata un’altra giornata bollente. Con un pizzico di invidia seguì con lo sguardo i due cigni, quello bianco e quello nero che immergevano il muso nell’acqua fresca della fontana del parco. Sorseggiò in silenzio il caffè tiepido. Cinzia si sedette davanti al Mac. Per tutto il tempo che dedicò all’analisi dei fotogrammi, Attilio non disturbò la sua concentrazione. Teneva molto al giudizio della sua compagna, sia perché ne riconosceva la competenza, in quanto insegnante di tecnica cinematografica al DAMS, sia perché si fidava della sua obiettività. In passato non aveva esitato a definire ‘una vera schifezza’ un suo lavoro che, sebbene gli avesse rubato intere notti di sonno, non era, a suo giudizio, particolarmente accurato. Ci aveva trovato così tante pecche da farlo vergognare. «Riferirò a Fabrizio le tue parole di elogio; sarà contento di sapere che hai apprezzato il suo lavoro» soggiunse, quando Cinzia staccò le mani dalla tastiera e si girò verso di lui. Pur riconoscendogli un’indiscussa genialità informatica Fabrizio non le era particolarmente simpatico. «Balle, a lui non importa un accidente delle ‘mie parole’. Il suo ego smisurato non accetta critiche, nemmeno quelle positive. È un narcisista e per di più un inguaribile misogino» affermò, ponendo una buona dose di acredine nella voce. «Adesso sei ingiusta. Fabrizio, è vero, non è mister simpatia, ma è un informatico eccellente e non credo che sia misogino come tu dici. Ad ogni modo, non ho alcuna voglia di discutere sulle sue convinzioni in fatto di donne».
Attilio fece un gesto vago con la mano, volse lo sguardo con fare annoiato, un poco infastidito e iniziò a fissare un punto immaginario. «Scendiamo giù al parco?» propose Cinzia con tono deciso. «Perché mai?» domandò Attilio sorpreso, riscuotendosi. Cinzia, anziché rispondere, si avvicinò alla finestra e, con un gesto ammiccante, invitò Attilio a gettare egli stesso un’occhiata. In un batter d’occhio l’uomo dei gelati aveva sistemato il suo trabiccolo nei pressi della fontana e i ragazzini già facevano calca, spintonandosi. «Mi sembrava si ricordare che avessi una passione irresistibile per il gelato al cioccolato fondente» disse Cinzia con fare smagato. « … Però, se non ti va … come non detto» soggiunse ironica e con aria sorniona, dopo una pausa, voltando le spalle al suo compagno. Si girò di scatto. Attilio era già in corridoio. Indugiò ancora un poco nello studio. «Alors, on y va?» lo sentì tuonare, col tono di voce che non ammette repliche.
Le venne da ridere.
Maria Lacchio
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