Cosa aveva previsto l'oroscopo quella mattina? Ah sì, "solo un piccolo inconveniente turberà la vostra tranquilla giornata." -Mai che ci azzecchino una volta-, aveva commentato rivolta alla voce registrata mentre sprimacciava i cuscini. Era iniziato così quel sabato mattino; con il figlio in gita scolastica e il marito ad un cicloraduno, aveva deciso di dedicare la giornata alle 'grandi pulizie'. Sintonizzata la radio su una stazione che trasmetteva musica anni '70, armata di scopa e spazzolone aveva intrapreso la sua personale battaglia contro acari e ragnatele. Non era una fanatica della pulizia, ma tra il lavoro e la famiglia il tempo era sempre risicato e una giornata intera da dedicare alle pulizie di casa era un'occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire.
A questo pensava, inarcando un po' la schiena per lenire un crampo causato dall'intorpidimento delle gambe. Ormai erano trascorse ore da quando era iniziato il 'piccolo inconveniente' predetto dal famigerato oroscopo e cominciava ad averne abbastanza di quella situazione kafkiana. La stanzetta dove l'avevano parcheggiata era priva di finestre e la potente luce al neon che la illuminava cominciava a procurarle una fastidiosa emicrania. Allungò le gambe e si stiracchiò; la sedia ancorata al pavimento emise un lamentoso stridio. Se i telefilm polizieschi trasmessi in tv erano fedeli alla realtà, doveva esserci una telecamera e qualcuno, da qualche parte nell'edificio, la stava guardando su un monitor. Fu tentata di fare le boccacce e mostrare la lingua all'ignoto osservatore, ma abbandonò l'idea, pensando che avrebbe peggiorato la sua situazione già di per sé al limite del surreale. Da quanto tempo si trovava in quella stanza tranquilla come la cella di un monastero e silenziosa come una tomba. Non aveva modo di saperlo, visto che non c'era un orologio e il suo aveva dovuto consegnarlo alla guardia all'ingresso insieme alla catenina e agli orecchini. Si alzò e prese a girare attorno al tavolo di legno tutto graffiato, aggrottando la fronte mentre i pensieri le vorticavano nella mente.
Aveva quasi finito di ordinare la camera del figlio e si stava dirigendo in lavanderia con le braccia cariche di magliette, jeans e biancheria varia, quando dal salotto era arrivato l'inequivocabile avviso di un disastro. Aveva mollato a terra il fagotto ed era corsa a vedere: l'antica lampada di ceramica e vetro ereditata dalla nonna aveva attirato l'attenzione dei suoi due gatti che, giocando, l'avevano fatta precipitare dal tavolino riducendola in mille pezzi. -Vi ammazzo tutti e due!- aveva urlato, ma i due malandrini se l'erano già filata dalla portafinestra. Aveva raccolto i cocci imprecando e minacciandoli di morte quando fossero ricomparsi. Quindi aveva raccolto il fagotto puzzolente, l'aveva buttato in lavatrice ed era tornata alle sue faccende, sperando di non venire più interrotta. Pio desiderio vanificato dal suono insistente del campanello. -E adesso chi rompe!- aveva detto stizzita. Il videocitofono le aveva rimandato l'immagine di due uomini in divisa e il suo cuore era schizzato in gola. Nella mente aveva preso corpo l'immagine del marito caduto dalla bici o investito da un'auto, ferito e anche gravemente se era stato necessario l'intervento dei carabinieri. -Sì?- aveva domandato con la voce strozzata dall'ansia. Uno dei due militi si era qualificato con tanto di grado e le aveva chiesto il permesso di entrare. Li aveva attesi sulla soglia e li aveva fatti accomodare. Non aveva avuto il coraggio di chiedere il motivo della loro visita, ma già si immaginava di correre all'ospedale, o peggio. Il più anziano dei due e anche il più alto in grado -l'aveva specificato quale grado, ma lei non se lo ricordava- le aveva rivolto una serie di domande sulla sua famiglia mentre l'altro che sembrava fin troppo giovane per indossare un'uniforme, indagava l'ambiente con lo sguardo attento come se fosse alla ricerca di qualcosa. -E ora dove sono suo marito e suo figlio?- le aveva domandato. -Mio figlio è in gita scolastica e mio marito a un cicloraduno- aveva risposto. Il giovanotto aveva annuito, ma l'espressione del suo viso diceva tutt'altro. Il più anziano era rimasto impassibile. -Anni di esperienza sul campo- aveva pensato. -Il baby ancora deve farsi le ossa.- Ormai le era chiaro che non erano venuti a comunicarle la notizia di un incidente, pertanto si era chiesta per quale altra ragione si fossero scomodati.
-Signora, deve seguirci in caserma- l'aveva invitata con cortese fermezza il più anziano.
-Neanche per sogno!- aveva risposto.
-Allora l'arrestiamo per resistenza a pubblico ufficiale- aveva incalzato l'altro, con un tono di smaccata supponenza, guadagnandosi un'occhiata di fuoco dal suo superiore. Era arrossito e improvvisamente le sue scarpe lucidate a specchio avevano acquistato un tale fascino che non riusciva a distoglierne lo sguardo. Rassegnata, era salita in auto con loro e, giunti in caserma, l'avevano lasciata in compagnia di un altro militare che l'aveva pregata di seguirla in una stanza dove era stata di nuovo interrogata da un altro carabiniere che le aveva assicurato che 'tutto si sarebbe risolto in breve tempo’ Ma tutto cosa? A distanza di ore, ancora non sapeva cos'era quel tutto. Aveva lasciato la stanza una sola volta, quando era andata al bagno, accompagnata da un carabiniere femmina -e che fosse proprio femmina non avrebbe messo la mano sul fuoco- . Erano stati cortesi, le avevano chiesto se desiderava qualcosa da mangiare o da bere; il toast che le avevano portato era abbondantemente imbottito con una farcitura gustosa e il caffè, notoriamente un imbevibile intruglio nei luoghi pubblici, era caldo e aromatico. Ciononostante, nelle ore successive la frustrazione aveva preso il posto della rabbia. Aveva letto da qualche parte che quello era un metodo adottato dalle forze dell'ordine per fiaccare la resistenza degli indiziati e farli confessare. Ma lei non aveva proprio niente da confessare e se proprio avesse voluto 'ripulire' la propria anima, si sarebbe rivolta a un prete, non certo a un carabiniere.
Si sa, il tempo si dilata o si restringe a seconda delle situazioni in cui ci si trova coinvolti, e in quella particolare situazione a lei pareva che si dilatasse all'infinito. Finalmente, la porta si era aperta e un militare -un altro, ma quanti sono in questa caserma- l'aveva gentilmente pregata di seguirlo. -Dove?- aveva chiesto. -E' attesa nell'ufficio del comandante- le aveva risposto, con il suo accento del sud. Le avevano sempre fatto tanta tenerezza quei ragazzi venuti da giù che vivevano lontano dalla famiglia, guardati dai locali, se non con aperta ostilità, con diffidenza.
Sul corridoio che stavano percorrendo si affacciavano le porte di diversi uffici, tutte chiuse, tutte con le loro targhette di finto oro tirate a lucido. Il militare che la precedeva bussò all'ultima porta e, senza attendere risposta, l'aprì e si fece da parte, invitandola a entrare. Richiuse immediatamente la porta. Il comandante -suppose- si era alzato dalla poltrona dietro una massiccia scrivania ingombra di fascicoli e le era andato incontro. Con fare un po' sospettoso lei gli aveva stretto la mano. Era più vecchio di vent'anni rispetto agli altri che aveva visto, troppo robusto per essere definito asciutto e troppo sottile per essere definito pesante. Aveva i capelli brizzolati tagliati cortissimi. La sua attenzione si trasferì su un'altra persona presente nella stanza: suo marito.
-Si accomodi, signora- l'aveva invitata il militare, indicandole la sedia accanto a quella dove sedeva suo marito. -C'è stato un malinteso e ci tengo a scusarmi personalmente per tutto il disagio che le abbiamo procurato- esordì il comandante, tornando a prendere posto dietro la scrivania.
-Non so che farmene delle sue scuse, signore- aveva replicato lei, inviperita. -Voglio, anzi esigo, sapere da lei perché due carabinieri si sono presentati a casa mia questa mattina, mi hanno fatto un sacco di domande e mi hanno portata qui dove mi hanno rifatto le stesse domande e mi hanno trattenuta per ore e nessuno, dico nessuno, si è degnato di spiegarmene il motivo!-
-Calmati tesoro- l'aveva esortata il marito posando la mano sulla sua. Ovviamente aveva ottenuto la reazione opposta.
-Calmarmi? Calmarmi un accidente!- La voce le si era strozzata in gola e le lacrime le avevano inondato il viso congestionato, sciogliendo ore di frustrazione e di rabbia represse. Il comandante le aveva concesso il tempo di sfogarsi.
-Questa mattina abbiamo ricevuto una telefonata- aveva spiegato. -Una persona che passava davanti a casa sua ci informava che lei, signora aveva urlato minacce di morte. Le parole che ci riferì erano esattamente 'vi ammazzo tutti e due'. E si era interrotto, fissandola, in attesa di una sua risposta.
-E' vero- aveva risposto lei, schiarendosi la voce. -I gatti avevano rotto una lampada e li ho minacciati.-
-Chi ci ha telefonato era molto molto agitato; ci ha riferito anche che lei ha reiterato più volte le sue minacce. Così ci siamo visti costretti ad intervenire. Abbiamo dovuto verificare che le sue affermazioni fossero esatte. Abbiamo contattato la scuola di vostro figlio che ci ha confermato che era in gita ma non riuscivamo a contattare suo marito, il suo cellulare risultava spento da ore.
-Non lo tengo mai acceso quando vado in bici- era intervenuto suo marito, che fino ad allora era rimasto in silenzio. -L'ho acceso solo quando sono arrivato a casa e quando ho trovato tutti quei messaggi mi sono spaventato a morte. Quando poi al tuo posto, mi ha risposto un carabiniere per poco non mi ha preso un infarto e mi sono precipitato qui.-
-Ora che tutto si è chiarito, potete tornare a casa- aveva detto il comandante, congedandoli. Aveva stretto la mano a suo marito, ma lei l'aveva ignorata e si era voltata salutandolo con un secco -buonasera-.
La luna era piccola e lontana sopra i tetti della città. Lui le aveva messo un braccio sulle spalle e l'aveva stretta a sé, comunicandole il suo bisogno compulsivo di proteggerla. Prima di rientrare a casa avevano fatto una sosta al McDonald dove avevano ordinato una quantità tale di colesterolo da uccidere un intero esercito di zelanti, troppo zelanti tutori dell'ordine.
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