… è già trascorso più di un minuto da quando mi son calzato il casco e i guanti. Sto in piedi sul muretto dei box, guardo nervosamente il pubblico numeroso e colorito sistemato nelle tribune di fronte, in mano tengo stretto il cuscinetto sagomato che mi darà una posizione più corretta per la guida, dato che il mio secondo è di statura differente…
Quasi non mi accorgo delle auto che transitano velocissime dal lungo curvone a sinistra davanti ai box di Floriopoli; intorno a me c’è un’atmosfera tesissima, uno strano silenzio… rumoroso: i meccanici con le ruote da sostituire, altri con imbuti per la benzina ed per un rapido rabbocco di acqua e olio, poi il normale caos organizzato di carabinieri, pompieri dai visi annoiati e molto più interessati alle belle donne dei box, fotografi “suicidi”, appassionati, intrusi e raccomandati.
Un solo pensiero mi tormenta: quando arriva il concorrente che ci precede? Al rilevamento cronometrico di Polizzi lo davano avanti di trenta secondi! Siamo all’ottavo giro, un’inezia dopo 576 chilometri di gara. Teoricamente se il mio secondo non ha guadagnato qualcosa tra Polizzi e Floriopoli, il nostro antagonista arriverà ai box mezzo minuto prima della mia Sport – continuo a riflettere ad alta voce – e se non ci sono interventi non previsti potremo guadagnare qualcosa… aspettiamo!
Si succedono i colpi di “masculu”, il cannoncino che alla fine di Bonfornello con i suoi botti, avvisa l’arrivo di una o più vetture, molte di esse si fermeranno per l’ ultimo rifornimento e cambio pilota per il rush finale.
Tutti noi piloti sappiamo che, in quest’ultima parte di gara, chi può si gioca una possibile vittoria, nel nostro caso una desiderata vittoria di classe. Le auto già provate dagli gli otto giri effettuati, il caldo del primo pomeriggio primaverile madonita, la stanchezza fisica dei piloti ancora in gara e un buon 50% di auto ritirate, rendono terribili questi ultimi due giri.
In piedi sul muretto, dovevo rivedere velocemente le mie precedenti tattiche di gara: un buon passo e ritmo costante, non strafare, massimo rispetto per motore, freni. In fondo, stavamo disputando la prova più dura del Campionato Mondiale Marche, 720 Km. di gara massacrante con mille e mille curve del circuito stradale, per i piloti e le macchine… Arrivare era già una vittoria, soprattutto per noi privati.
Ma ora era tutto sconvolto, eravamo a 30 secondi dalla prima sport 2000 “ufficiale” e noi con la nostra non proprio giovane rossa Sport eravamo dietro, vicini, maledettamente vicini per non sognare! Vincere la classe ed entrare nell’ assoluto: sono solo sogni – pensavo… sul quel muretto! D’improvviso, transita sotto i miei piedi la gialla Sport dei nostri avversari che si dirige decisa verso i suoi box.
Scattano i nostri cronometri:10, 15, 20” arriva la nostra rossa biposto! Tra Polizzi e i box, il mio ottimo copilota ha rosicchiato altri secondi… i meccanici si avventano sulla macchina, il pilota scende sudato e per l’enorme stress accumulato quasi non riesce a sfilarsi il casco, mi avvicino con un balzo, faccio i complimenti per il suo fantastico recupero… ma lui mi “gela” dicendomi che l’auto è all’osso! Freni, ammortizzatori, temperature alte…
Veloce cambio di gomme, benzina, rabbocchi olio e acqua, sistemo il mio cuscino e mi calo dentro l’angusto abitacolo, vengo aiutato ad allacciare le complicate cinture di sicurezza a quattro punti e aspetto: una decisa botta sul casco mi avvisa di ripartire. Adesso sono solo con la mia sport rossa.
Con un colpo secco innesto la prima marcia, attraverso tutta la corsia dei box, sfiorando incoscienti meccanici e fotografi posizionati al centro della corsia di accelerazione, incuranti del mio arrivo e con uno scatto degno dei più bravi toreri spagnoli all’interno dell’arena… mi scansano quasi indispettiti! Alla fine della corsia dei box un commissario agita una bandiera verde: via libera.
Cerco di annullare ogni altro pensiero, mi concentro sulla guida, sull’auto e sul percorso. Schiaccio con violenza sull’acceleratore, il “calcio” arriva all’improvviso, toglie il respiro, il retrotreno tende per un attimo a scomporsi: sono i pneumatici nuovi ancora freddi, ma ora le slick s’incollano all’asfalto, tiro la seconda marcia al limitatore tarato a 9000 g/m, il suono dello scarico è lacerante. Le ruote nuove rendono fulmineo l’inserimento nella sequenza di curve e controcurve verso la famosa curva “a dx lunga chiude” detta “del professore”. Ripenso alle ultime parole del mio secondo pilota ai box: freni e ammortizzatori anteriori ko. Mi adatterò concentrandomi al massimo per non commettere qualche errore di troppo… infatti arrivo lunghissimo al primo tornantone a ds sul ponticello successivo…
Su questa sport ho già disputato diverse gare, ma adesso sembra un’auto diversa, gli otto giri di Targa già pesavano sul suo equilibrio generale.
Attraverso velocemente l’abitato di Cerda ed entro nel tratto più “guidato” e sconnesso della corsa (come se il resto fosse bello e facile…) fino al primo bivio di Sclafani Bagni. Sento molto sottosterzo, non sono le gomme nuove ma gli ammortizzatori anteriori che sullo sconnesso… impazziscono e poi sto tirando più del dovuto.
M’ interrogo ripetutamente se i nostri antagonisti , dopo la sosta ai box stanno guadagnando qualcosa, se sono ancora in gara. Improvvisamente, all’uscita di un curvane cieco a dx vicino la Masseria di Granza, raggiungo due piccole e velocissime GT in piena bagarre tra di loro – cavolo come son veloci in curva! – devo aspettare un rettilineo per poterle superare di motore! Tra due ali di folla entusiasta che si sbraccia per indicare loro il mio prossimo sorpasso, trovo un allungo adatto alla manovra e… un attimo di terrore! Dopo aver superato agevolmente la prima auto, la seconda non accorgendosi del mio arrivo si sposta al centro della carreggiata tirando la traiettoria per la successiva curva. La manovra mi costringe a far “la barba” alla sua fiancata destra, tra l’evidente entusiasmo del pubblico e dei fotografi. Capisco di aver perso il ritmo e diversi secondi, sfilo veloce il “Cippo Masetti”, bivio Caltavuturo e giù per Scillato.
Per attimi intravedo diverse vetture ferme sul ciglio della strada, ferme per avarie o incidenti “duri” sui muretti e paracarri, ma sempre con un nugolo di appassionati intorno come per coccolarle, proteggerle o altro!
La discesa di Scillato è conosciuta come “mangia freni”, forse per gli altri, io ne ho ben pochi! Mi aiuto moltissimo col cambio e la conoscenza del circuito, percorso mille volte, prima coi motorini poi con moto e auto. Ricordo ancora la Giulietta TI del ‘59 cambio al volante di papà, fumante, con le gomme nuove (cinturato) fuori uso dopo soli tre giri!
Bivio Scillato a dx, transito velocissimo, anche troppo, causa amici presenti al bivio e pesantemente critici. Raggiungo subito il bivio Firrionello di Polizzi, dove è sistemata una postazione radio e assistenze veloci. Con mio notevole stupore, una grande lavagna nera, con numeri bianchi, tenuta in mano da un mio meccanico col viso “ rubicondo” mi indica 1° con + 45’’ di vantaggio sul secondo!
Incredulo ed esterrefatto, inconsciamente levo il piede dal gas nel rettilineo successivo al bivio, ma in attimo di sana lucidità, ricordo che devo ancora percorrere un giro e mezzo per finire la gara. Divoro con scioltezza i chilometri che mi separano da Collesano: casa rossa Anas, a dX, mi scompongo, mi rimetto un linea facilmente, quasi dimentico il problema all’anteriore con gli ammortizzatori prossimi al ko.
Entro nel fantastico paese di Collesano, famoso per il suo appassionato pubblico, le ceramiche e le granite al limone, supero auto più lente in sicurezza, tra due ali di folla, gerani ai balconi, tanti carabinieri e transenne metalliche! Impegno la ripida discesa per Campofelice di Roccella.
Pecco di presunzione, credo di aver in mano la gara, scendo velocemente, troppo velocemente. Tre o quattro chilometri dopo Collesano, nel misto veloce, sempre con marce alte, dopo una velocissima sx, arrivo scomposto alla successiva dx chiamata dai locali “al casotto”. Tento la staccata, il pedale del freno prima s’indurisce poi di colpo scende, la scalata di marce è precisa ma l’anteriore non gira.
“Cazzo! Cazzo”, penso. Punto per il muro esterno e mi si gela il sangue. Non per la paura, ma per la delusione di aver perso una gara quasi vinta, mi stringo al piccolo sterzo e per istinto lascio i freni, le ruote trovano la direzionalità, per un attimo richiamo lo sterzo e l’auto va in testa coda.
Solo lo stridio della vetroresina della coda mi fa capire che ho toccato! Mi si spegne il motore, tento di riavviarlo ma non riesco. Tento di trovare la folle nel selettore del cambio: niente da fare. Mi sbraccio per indicare al pubblico che mi trovo in difficoltà, ma sono già circondato da una decina di spettatori. In un attimo mi ritornano in mente i mille aneddoti raccontati sul pubblico siciliano che rimette su strada auto cadute nei burroni, sollevate a forza di braccia, aiuti disperati a vetture ormai ko, fili di chitarra al posto di fili di acceleratori rotti.
Non trovando la “folle” e col muso della vettura in direzione contraria al percorso, una decina di forzuti spettatori sollevano l’auto da terra posizionandola nella giusta direzione, noncuranti del sopraggiungere di altre vetture che, sfiorandoli, mettono loro brividi. Non di paura ma, come constatavo dai loro sorrisi, di sano piacere. Trovo la “folle” e finalmente, grazie alla pendenza e una vigorosa lunga spinta, il propulsore si rimette in moto.
Un rapido ringraziamento a mano alzata e giù verso Campofelice. Sarà per il nervosismo, ma non riesco subito a riprendere il giusto ritmo che questo tratto in discesa richiede per andare veloci. Faccio un rapido calcolo mentale: “avevo 45’’ di vantaggio, approssimativamente credo di averne persi almeno 60’’ o qualcosa in più col testacoda, adesso ne sto perdendo altri, sarò dietro di 30-40’’. Ma non devo mollare. Mi riconcentro al massimo: cavolo, sono siciliano e non voglio perdere questa, forse unica occasione della mia piccola carriera di pilota dilettante!
Non m’importa di arrivare secondo, al diavolo le strategie, tanto i secondi arrivati non li ricorda nessuno… cambio, adesso, il mio delicato modo di guidare, divento più aggressivo e tiro più giri al motore.
Mi catapulto all’interno di Campofelice, sfioro marciapiedi e auto posteggiate in modo “assassino”, arrivando maledettamente veloce alla sx secca della piazza, sempre piena di spettatori e avventori del bar “al Duomo”.
Sapendo di non potermi fidare troppo dei freni, anticipo la frenata stessa: tutto bene, ora giù per il bivio a sx e il lungo rettilineo di Bonfornello.
Di solito il pilota si rilassa in questi tratto “viaggiando” a 260 Km/h. Io, dopo un rapido sguardo alle temperature e pressione olio, continuo a tirare come un dannato. Di quinta marcia, la più lunga, ora mi ritrovo a pieni giri già a metà rettilineo, prima avrei mollato un poco l’acceleratore per far respirare il motore, ora no. Devo recuperare a costo di farlo scoppiare.
Come un pivello, non guardo lo specchietto retrovisore, tanto sono concentrato a tener dritta l’auto e non mi accorgo che mi sta raggiungendo un grosso prototipo 3000 rosso fuoco. Un attimo di terrore quando mi supera “sverniciandomi” alla mia sx. Preso dal panico perdo direzionalità e credo di aver fatto più di 500m zigzagando pericolosamente.
Immagino che il prototipo fosse in ritardo e viaggiasse intorno i 300 Km/h. Distinguo chiaramente il suo cofano posteriore con forti vibrazioni e gli enormi scarichi. Per fortuna non intravedo le classiche “corna” esposte come ringraziamento del sorpasso agevolato! Un vero pilota gentiluomo.
Finito Bonfornello mi avvento dentro il bivio a sx di Fiumefreddo e transito davanti ai box con la mano sinistra alzata come per dire “tutto ok” e guardando la nera lavagna tiro un sospirone di sollievo…2° a + 30’’. Sorrido sotto il casco: “si può fare, si può fare”, ripeto. Rifletto su come la disavventura del testacoda potrebbe anche succedere a LUI, in fondo mancano ancora 72 km. e son lunghi e difficili per tutti.
“Ultimo giro, ultimo giro”, ripeto mentalmente. In altre occasioni poteva essere modo di soddisfazione giungere a questo punto della “Targa”, ma oggi no. Voglio vincere, vincere: per il mio secondo pilota, per i miei meccanici, per la mia famiglia che mi ha sempre sostenuto anche economicamente. Voglio vincere per il mio scomparso papà che mi ha trasferito la sua grande passione per le auto da corsa, portandomi fin da bambino sul circuito delle Madonie a vedere i grandi e mitici eroi al volante di auto da sogno: Ferrari, Alfa, Maserati, Porsche. Sogni di bambino che adesso si stanno materializzando realmente: vincere la classe in Targa Florio ed entrare nell’assoluto davanti ad auto e piloti più blasonati!
Attimi di ricordi che si rincorrono nella mente, ma ora basta! È l’ultimo giro, accarezzo delicatamente come per cercare conforto nella mia sport rossa e le dico: “non mi tradire ora, io non sbaglierò”.
Superato il curvone dei box, cerco la conferma che meccanicamente è tutto a posto. In quelli successivi, nullo il sottosterzo, nelle curve a medio raggio il sovrasterzo è “signorilmente” avvisato in modo graduale col “dietro” che si allarga. Al solito, in quelle secche in staccata scivola in avanti, ormai mi ci sono abituato!
Finiti i velocissimi test sull’auto, dal tornantone a dx sul ponte, cambio musica: o si vince o si rompe. Sfioro senza esitare: pubblico, ombrelloni e carabinieri sul ciglio della strada. Casa rossa cantoniera dx piena, vetture più lente superate in un “flash”, Cerda, Hotel Aurim, salto, Antonio Catanzaro, piazza, staccatona a dx e su per il bivio di Montemaggiore. Fontana Rossa, Granza, tornanti a scendere, Vic Elford e Nanni Galli, migliaia di spettatori, ombrelloni, tende, primo bivio Scafani, secondo bivio Sclafani al limite dell’aderenza, senza respirare. Cippo Masetti e salgo per il bivio di Caltavuturo, scendo per le case Cirrito, curva del paralitico. Col cuore in gola, divoro il discesone fino al ponte di Scillato, salgo per il bivio di Scillato: lungo, lungo chiude. Non guardo più né contagiri né temperature, solo la strada, la memoria, l’istinto, la paura, la fortuna, il brivido e la dolce sinfonia del motore.
Gerani, agavi e ginestre preannunziano il mio arrivo al bivio di Polizzi.
Cerco con lo sguardo la lavagna nera dai grandi numeri bianchi; me la trovo in entrata al tornantone a sx quasi in faccia, riconosco il viso sorridente di un mio meccanico: 2° a + 5’’ dal 1°. Ho guadagnato tanto e mi mancano solo 5’’ da recuperare, più ci guadagnerò sopra! Si può fare, anche se il mio avversario sarà stato avvisato del mio recupero… starà tirando come un dannato, ma io di più.
Volo per Collesano, velocissimo, pieno di insidie e curvoni da pennellare, con baratri ai lati. Casa Anas, case ESA 1, case ESA 2, discesa, casa Nino 1 e casa Nino 2, bivio a dx contrada Ferro e mi fiondo dentro al paese. Sorpasso auto più lente ma sempre al loro limite. Intravedo sagome di volti amici e la mia ragazza dal vestito rosso risponde alla grande alle mie tremende e fuori logiche sollecitazioni; mi asseconda, si mette di traverso in sicurezza, ora sembra in forma perfetta, con rabbia esce dalle curve strette, sembra avere un’anima propria. Esco da Collesano a “palla” mi precipito senza alcun timore per la discesa.
Il cambio sembra avere dei rapporti ancora più corti, con sequenze rapide e precise. All’ingresso di una sx un gruppo di spettatori mi segnala, sbracciandosi, (ricordandomi così l’errore del giro precedente) che la Dx successiva è la pericolosa e scivolosa “al casotto” con una brutta controtendenza. “Non mi fotte questa volta”, grido a me stesso. Deciso, anticipo l’entrata, chiudo corda e violenta accelerazione. Esco velocissimo tra il gaudio dei presenti.
Sono in palla, forse non sono mai stato così in sintonia con la mia bella sport rossa. Quasi non freno più. Gli eucalipti a dx mi indicano, come vecchi amici, le curve a sx chiuse in uscita. Arrivo così alle palme di Villa Lara all’ingresso di Campofelice di Roccella. Digerisco velocemente il paese, la vista del blu cobalto del mare Tirreno sottostante mi rilassa per un attimo di respiro. Si vince sotto il traguardo. Per un attimo lo sguardo va su una sagoma gialla di un’auto ferma a dx. E’ una piccola sport 1000 – no, non è lei - Non distinguo più né case né pubblico, sono fuori Campofelice.
Ho la gola secca, le braccia doloranti e mi ritrovo nel lungo rettifilo di Bonfornello o Pistavecchia, come lo chiamano a Campofelice. Piede a fondo nell’acceleratore senza nessun rispetto per il motore che ruggisce come una belva in piena caccia, ma contemporaneamente lo prego di non esalare l’ultimo respiro proprio adesso.
Non voglio controllare gli strumenti di bordo. Filo come un treno velocissimo su due immaginari binari, come quelli che mi scorrono alla destra, della linea ferroviaria Palermo-Messina. Solo ora si materializza un acutissimo dolore alla schiena, causato dallo spostamento del cuscino durante il testacoda: dolori dappertutto, causati anche della scarsa predisposizione a frequentare palestre, il mio storico soprappeso fa il resto. Di slancio, supero i resti archeologici del tempio Dorico della Vittoria di Himera, entro nel misto veloce, troppo veloce, quarta e quinta marcia sempre. Sto esagerando. Rifletto. Dovrei mandare tutto a p…proprio ora, a 5Km. dall’arrivo?
Mi ridimensiono, un po’! Casa Elettrica, Platano a Dx pieno lungo lungo. Sono felice come un bimbo felice, rettilineo stazione Cerda, pennello il bivio a sx, senza respirare, dx , sx e bandiera a scacchi. “E’ finita!”, urlo sotto il casco. In un attimo vedo il posteriore giallo della sport dei miei avversari, con il pilota ancora dentro l’abitacolo col casco calzato. Un rapido calcolo: partito un minuto prima di noi, già gli sono sopra!
Ancora non fermo, sono letteralmente sommerso dal mio staff al completo, il bravo secondo pilota con una bottiglia di acqua in mano e con l’indice alzato mi fa un segno inequivocabile. Capisco che è successo qualcosa di straordinario, dalle pacche sul casco e i loro visi sorridenti ho la certezza: abbiamo vinto!
Un pensiero vola a mio padre, sicuro che abbia seguito e protetto la mia gara, in compagnia di Vincenzo Florio, da qualche tornante tra le nuvole dell’azzurro cielo madonita. Esito a levarmi il casco integrale, forse per l’inconscio desiderio di non far vedere le grosse lacrime che solcano occhi e viso.
A tutti i miei amici che condividono con me la passione per questo meraviglioso sport.
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