Può esistere un amore tanto grande, eterno ed invincibile, da superare gli urti dell’esistenza? Fondamentalmente credo di no, con le debite eccezioni. L’amore romanzato, cinematografico e musicale, non è eterno. É fragile nella sua essenza ancestrale e perde la sua potenza quando la passione, motore propulsore, svanisce e, soprattutto, quando qualcosa turba o spezza l’equilibrio che lo ha tenuto in vita.
“Eutanasia di un amore”, ossia la morte lenta di un amore, il film di cui farò qualche personale considerazione, nasce da un romanzo di Giorgio Saviane dove i protagonisti, Paolo e Sena, Tony Musante e Ornella Muti, si alternano nel raccontare la loro storia d’amore. Dal romanzo, che ha vinto il premio Bancarella nel 1977, fu realizzato nel 1978 l’omonimo film dal regista Enrico Maria Salerno, con un importante cast di attori e due protagonisti interpreti eccezionali, Ornella Muti e il compianto Tony Musante, che hanno sicuramente contribuito al successo cinematografico.
Ho rivisto il film proprio in questi giorni, con gli occhi e con il cuore di una donna adulta, e mi sono resa conto di quanto le emozioni – temporali - possano modificare il giudizio di un’opera letteraria o cinematografica, come in questo caso. É indubbio che un certo turbamento il film lo comporta, ambientazione e luoghi consentono agli attori di esibirsi in dialoghi di verità psicologica ed umana dove è facile rivedersi. Un’analisi spietata e profonda che, però, non avviene subito, ma soltanto quando la relazione sentimentale si è definitivamente interrotta. Già, perché, come spesso capita, si smette di amare ancor prima che la relazione sia alle corde. Quest’aspetto comune nelle interazioni sentimentali mette in evidenza la difficoltà dell’essere umano di esibire i propri sentimenti, di confrontarli con il proprio partner, anche quando si vive un rapporto stabile e credibile, che dura da molti anni, come nel caso dei due protagonisti.
E' un film che coinvolge emotivamente, ha risvolti psicologici importanti dove si inserisce perfettamente la nostra natura, spesso confusa e a volte perfino indecifrabile. La formazione umana di Paolo, il professore protagonista, pare nutrirsi di poesia, di modi letterari e di perfezionismi linguistici, che ignorano quasi del tutto la tollerante pragmaticità. Capace di osservare la propria vita con occhi distaccati, e di godere di un compiacimento estetico anche nei momenti tragici del dolore o nella dolce agonia della fine dell'amore. Un narciso, che sembra agire sotto la spinta di un cerebralismo egocentrico e a volte liricamente trasognato, pertanto difficilmente comunicativo e aperto al mondo. Lei, Sena, è una bellissima donna che è passata da uno stato di giovane studentessa, innamorata del mito, alla consapevolezza di sé e di ciò che vuole. E vuole un figlio, quel figlio che lui non ha desiderato, obbligandola ad abortire. Ed è questa la colpa che gli imputa, che l’ha ferita nel profondo e che li porterà a separarsi, fieri e fedeli nelle loro posizioni. Sena è, dunque, figura materna e donna realizzata, capace di idee autonome. E stare lontano da lei è, per Paolo, nascere e morire insieme. La drammaticità del sentimento è palpabile nel loro addio alla stazione. Nei loro abbracci e nei loro baci c’è tutto lo struggente sentimento che, tuttavia, non riesce a superare le reciproche posizioni. Sena partirà per Parigi, proprio per staccarsi da lui, e Paolo sceglierà di proseguire la sua strada senza di lei, affiancandosi ad una donna sterile, simbolo di un amore libero ed elemento che tutelerà e confermerà la sua determinazione nel non avere figli. Una storia d’amore bellissima e completa, quella fra Paolo e Sena, lasciata ad una lenta agonia, alla sua eutanasia.
Ognuno di noi ha potenzialmente una fedele ed irrinunciabile posizione; e quando questa è disattesa, e muore il dialogo nella coppia, ecco che si rinnova la ricerca della libertà celebrativa, per ritornare nel limbo delle primordiali emozioni. Un tempo, quando ero molto giovane, la mia visione sarebbe stata completamente diversa. L’avrei alimentata di ideali ed emozioni, avrei invocato perfino il diritto di nascere o non nascere per difendere un grande sentimento, un invincibile amore. Il disincanto degli anni mi ha fatto assimilare un altro film: un film dove un amore nasce, prepotente e vivo, e infine muore per voluta eutanasia. Forse anche l’amore rientra nel ciclo naturale delle cose, dove nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Ma l’amore è l’unico sentimento per il quale valga la pena di vivere ed essere felici, e poi anche di soffrire.
Marina De Luca
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