Un libro che ho trovato molto interessante è ''Ingrati, la sindrome rancorosa del beneficiato'' di Maria Rita Parsi (Mondadori), dove la psicoterapeuta spiega cosa succede nella testa di chi chiede aiuto, lo riceve, e poi fa finta di nulla. O ancora peggio ti pugnala alle spalle. E nella testa di chi, il benefattore, generosamente si prodiga e non viene nemmeno ringraziato.
"Chi sviluppa il sentimento dell’ingratitudine non vuole riconoscere ad altri il fatto di aver avuto bisogno, di essersi trovato in una situazione di impotenza, di subalternità" dice Parsi. "Così deve 'eliminare' il testimone di quel momento di debolezza, non ringraziandolo, o anche denigrandolo".
Per un approfondimento sul tema:
“Ingrati. La sindrome rancorosa del beneficato”
di Parsi M. Rita
Editore Mondadori
L'ingratitudine è un modo come un altro per pagare i debiti. Ed è il preferito perché costa meno.
A voi una mia riflessione sull'argomento proposto magistralmente da Maria Rita Parsi.
Nel percorso dei miei anni lavorativi, specialmente gli ultimi, sono stata oggetto di attacchi immotivati, mi sono sentita stoico bersaglio, intenzionalmente fraintesa, volutamente colpita. E quasi sempre la freccia è stata tirata dalla mano di chi aveva ricevuto il mio affetto più sincero, incondizionato, senza dubbio ingenuo. Ho perso, senza rimpianti. E ho perso - con l'esperienza - anche la mia tendenza a dare al prossimo più di quanto mi sia concessa. Tuttavia, da queste esperienze, sono diventata più forte e più conscia del mio valore, meno incline al compromesso. Malgrado ciò, e i vari "giuda" incontrati, ho conservato immutato il desiderio di regalare al mondo e al mio prossimo un po’ di gioia, un sorriso. Sono sempre felice se riesco a rendere qualcuno più consapevole e realizzato; e quando la mia stessa vita è di esempio e di sprone. Valuto la mia incapacità a riconoscere il male che cova nel prossimo, a smascherare le doppie facce, a difendermi dalla cattiveria, a proteggere me stessa, perchè fondamentalmente sempre compenetrata nel sentimento solidale.
Ho sperimentato, soprattutto attraverso la mia vita lavorativa, che l’essere umano reagisce sempre meglio al sì piuttosto che al no. Per questo quando entro in contatto con qualcuno, mi viene spontaneo guardare i lati buoni, ampliarne le potenzialità, crederci con tutta me stessa. E, malgrado le delusioni, scelgo sempre di credere. Eppure, non capisco perché, continuo a ricevere del male proprio dalle persone che più mi sono sforzata di aiutare, quelle alle quali ho dato senza pretendere nulla in cambio e senza chiedere garanzie, soltanto perché mi sono fidata. Per me fidarmi è naturale, è giusto, è creativo. Per questo non riesco a comprendere a fondo quel sentimento ostile che va sotto il nome di ingratitudine. Stento a capire per quale motivo la gente covi una tale ostilità nei confronti di chi gli ha fatto del bene, che mette tutte le sue forze per danneggiarla, nuocerle, screditarla. Questa è la tesi ben illustrata e da me condivisa del libro di Maria Rita Parsi “Sindrome Rancorosa del Beneficato”, quel sordo, ingiustificato rancore il più delle volte covato inconsapevolmente; altre volte, invece, cosciente che coglie come una autentica malattia, come una febbre delirante, chi ha ricevuto un beneficio, poiché tale condizione lo pone in evidente “debito di riconoscenza” nei confronti del suo Benefattore. Un beneficio che egli “dovrebbe” spontaneamente riconoscere ma che non riesce, fino in fondo, ad accettare di aver ricevuto. Al punto di arrivare, perfino, a dimenticarlo o a negarlo o a sminuirlo o, addirittura, a trasformarlo in un peso dal quale liberarsi e a trasformare il Benefattore stesso in una persona da allontanare, da dimenticare se non, addirittura, da penalizzare e calunniare...
Negli ultimi tempi ho subito vicende di questo tipo, esclusivamente in ambito lavorativo, quasi mai in ambito affettivo privato. E la cosa peggiore è quando tutto viene fatto alle spalle, di nascosto, subdolamente. Da sempre so che tutto fa da specchio. L'insicuro rinfaccia insicurezza; l'egoista lamenta egoismo; l'avido accusa di venalità, proprio quell'avido a cui è stata riservata la generosità più disinteressata. Per fortuna ho il mio mondo a cui non manca niente: sono protetta, al sicuro, e ho preziosissimi alleati. Mi sono anche chiesta se valga la pena di sperimentare anche l'ingratitudine, per trovare un essere umano riconoscente. E questo mi dà la forza per non sentirmi affondata, umiliata. E così, dalle mie disavventure, risorgo sempre più forte come l'Araba Fenice che risorge dalle sue ceneri. Un vecchio proverbio recita: “Non si chiude una porta se non si apre un portone”. Non so se sono stati veri portoni, se ce ne saranno altri, o tali li ho resi anche io. Non so se queste esperienze sono anche la volontà di Dio per temprarmi e rendermi sempre più forte. In ogni caso, ognuno è fatto per seguire la propria natura.
Forse un giorno si accorgeranno, capiranno o forse no, poco importa. Ma intanto io ho fatto il mio.
E ricorda: “Non fare del bene se non hai la forza di sopportare l’ingratitudine.”
Confucio
Marina De Luca
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