Definire momento difficile l'attuale, è come dare una caramella ad un bambino dopo aver ingurgitato una medicina amara. Questa sensazione di sentirsi in una sorta di opprimente cappa non è solo mia, ho potuto constatare che appartiene, magari in modo diverso, un po' a tutti. Insomma un malessere generale che ci attanaglia e ci procura cronico dolore. Ogni santo giorno stiamo assistendo ad un ecatombe globale, che si sposta dalla crisi dei valori ai fatti materiali. C'è una terra che sta tremando sconquassando a catena una bella fetta di territorio e di uomini; quasi una risposta materiale ai tremori interni che stiamo patendo e subendo a testa bassa, con cristiana rassegnazione. E ci si chiede: fino a che punto un popolo può subire, fino a che punto deve? Sento altresì come l’avvento di un’antivigilia di "svolta epocale". Vi scrivo tutto questo sperando di sbagliarmi, confidando che questo testo sia solo l'effetto del mio disappunto generale e del mio malessere per le sorti della mia Terra, anche se ogni giorno di più mi sembra lontanissimo il ricordo di ciò che risiede nei miei ricordi, nella mia idea di Patria, di giustizia sociale, e sempre più distante da quell'arte che la contraddistingueva, da quella poesia che l'avvolgeva, da quei profumi generali di cui è, nonostante tutto, permeata e che ne hanno fatto la storia. Perfino i bei paesaggi si sono intristiti e oscurati di macerie, di lutti, di sangue e di orrore. E nei "Palazzi d'oro" vige l'indifferenza ai problemi dell'umanità, si lotta per amenità, soprattutto a favore del pragmatismo economico. Questo Governo è privo di sentimenti e perfino di logica, forse anche volutamente privo. Ma non intendo proseguire e commentare il decreto Balduzzi nato per togliere e sanare non si sa cos'altro, a spese dei sempre più collassati cittadini, e della già malata sanità.
Decisamente ispirata dal dolore provocato da una terra che ha prodotto morte, abbandono, e che, ancora tremante, incontra volti pallidi, rassegnati o ancora terrorizzati, voglio narrare di elevati sentimenti. Se pensassimo spesso a questi accadimenti forse non saremmo così tanto aridi e avidi di materia, impegnati in affari inconsistenti, alla ricerca del possesso di inutili e costosi oggetti, e legati a futili discorsi. Sono riflessioni che comunque durano poco, il tempo necessario per esorcizzare il malessere e ricominciare a "vivere", se questa è ancora vita!
Vi voglio rendere dunque partecipi di una breve seppur intensa esperienza di palpabili sentimenti, che mi ha colpito perché da tanto tempo non assistevo a così elevate espressioni di devozione e di pura poesia. Insomma una rarissima - oggigiorno - icona dell'amore vero, che è rimasta impressa nella mia testa e nel mio cuore.
Sono stata due giorni all'interno di una struttura ospedaliera importante ed efficiente, non vi dirò il motivo, non ha importanza, un'eccellenza siciliana della sanità: il San Raffaele G. Giglio di Cefalù. Che oggi un decreto, un pezzo di carta, intende gambizzare. Il San Raffaele è una delle prime partneship, nate in Italia, con compartecipazione tra pubblico e privati, una struttura di rilevanza nazionale idonea ad offrire, in forma integrata, attività di assistenza, ricerca, didattica e formazione; nata anche con l'obiettivo ambizioso di interrompere l'emigrazione sanitaria e di rispondere adeguatamente, nel territorio, alle richieste di assistenza e di buona sanità dei cittadini. Ed infatti così è! O forse dovrei dire è stato? No, spero tanto di no! E mi approfitto di questo testo per tesserne le lodi e fare un appello affinchè non siano ridotti gli importantissimi servizi sanitari del San Raffaele. E' in questa struttura che ho avuto il privilegio di assistere ad un avvenimento d'amore raro, quasi incredibile. Ed è stato bello, meraviglioso, come riconciliarsi con tutti i sentimenti. Questo scenario lo proporrei come spot televisivo ben 10 volte al giorno, ai giovani, ai meno giovani, a chi si è dimenticato il sentimento d'amore, a chi invece non ha capito ancora cosa sia l'amore vero, la devozione. Dietro una porta, di una delle cinque sale operatorie, c'era un uomo di circa 60nni. Un bell'uomo, alto, distinto, elegante nei modi, pacato nei ragionamenti e innamorato della propria compagna. E' stato ben 14 ore in piedi ad aspettare, dignitosamente, un difficilissimo intervento chirurgico che considero un miracolo umano e divino. Con gli occhi colmi di lacrime e qualcuna più abbondante che andava giù a rivolo sulla camicia e un fazzolettino fisso tra le mani, è rimasto immobile, senza fiatare. Sollecitato qualche volta da me, dava intense risposte. Non ha voluto che provvedessi per un po' d'acqua, del cibo, una caramella, nulla! Stava lì, immobile, dietro quella porta con gli occhi fissi e grandi in attesa perfino della morte. Mi ha raccontato di sua moglie, di quanto avesse sofferto negli ultimi tempi, di quanto fosse preoccupato per la sua fragile salute. Ma pieno di speranza di rivederla, di godere ancora dei giorni insieme, seppur nel dolore, e nella consapevolezza che non resisterà ancora per molto tempo. Qualcuno mi ha detto che l'esperienza del dolore è più valida dello studio di un'intera enciclopedia. Vero, come non mai.
Non so perché ho voluto raccontarvelo. In fondo è solo una storia di vita senza nome, una come tante. O magari una possibile scena di un bellissimo e struggente film. Ma il film è finzione e questa invece era amara realtà. Spero di avervi trasmesso tutto il pathos di un grande amore, oggigiorno esperienza rara: siamo troppo compenetrati a celebrare il nostro smisurato ego per donarci completamente e incondizionatamente. Possiamo solo sperare di incontrarlo con la fantasia, magari leggendo un bel romanzo d'amore, come “L’amore ai tempi del colera” di Gabriel Garcìa Marquez, che narra una storia intensa, di quelle che vale assolutamente la pena di essere vissuta. Qualcuno potrebbe obiettare che è una storia d'amore, una meravigliosa storia d'amore, magari anche una fantastica storia d’amore! Si, è vero, ma non è il solito amore melenso e sdolcinato, bensì un amore intenso, passionale, sofferto, struggente, sincero... E vissuto a tal punto da avvertire sintomi simili a quelli generati dal colera. Dove la passionalità, il trasporto, l’intensità e il calore sono elementi tangibili, senza lasciare nulla all’interpretazione o alla fantasia. Esattamente come la scena che ho vissuto al San Raffaele Giglio di Cefalù, in questa breve ma forte esperienza, che è rimasta nel mio cuore e che ho voluto raccontare per chiedere una seria riflessione a chi ha il potere di sedersi ai tavoli tecnici e infine decidere. E a questi signori chiedo: non vi perdete soltanto in dati, numero di posti letto, e altri tecnicismi che non riguardano la sofferenza dell'umanità; non dimenticatevi che oltre ai deficit economici da sanare esistono anche le malattie da curare! Non distruggete la speranza in chi sta soffrendo! E questo al di là degli aridi e spietati decreti.
Marina De Luca
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