(Foto di Edoardo Piva)
Melodramma in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave, dal dramma Le Roi s'amuse di Victor Hugo
Musica di Giuseppe Verdi
Rigoletto, buffone di corte baritono: Amartuvshin Enkhbat;
Gilda, sua figlia soprano: Gilda Fiume;
Il duca di Mantova tenore: Iván Ayón Rivas;
Sparafucile, bravo basso: Romano Dal Zovo;
Maddalena, sua sorella mezzosoprano: Carmen Topciu;
Giovanna, custode di Gilda mezzosoprano: Carlotta Vichi;
Il conte di Monterone baritono: Alessio Verna;
Marullo, cavaliere baritono: Paolo Maria Orecchia;
Matteo Borsa, cortigiano tenore: Luca Casalin;
Il conte di Ceprano basso: Federico Benetti;
La contessa, sua sposa mezzosoprano: Claudia De Pian;
Un usciere di corte basso: Giuseppe Capoferri;
Il paggio della duchessa soprano: Ashley Milanese;
Direttore d'orchestra: Renato Palumbo;
Regia: John Turturro;
Regista collaboratore: Cecilia Ligorio;
Coreografia: Giuseppe Bonanno;
Scene: Francesco Frigeri;
Costumi: Marco Piemontese;
Luci: Alessandro Carletti;
Riprese: Ludovico Gobbi;
Assistente ai costumi: Sara Marcucci;
Maestro del coro: Andrea Secchi.
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Nuovo allestimento
in coproduzione con Teatro Massimo di Palermo,
Shaanxi Opera House (Xi’an, Cina)
e Opéra Royal de Wallonie-Liège
(Figurino di Marco Piemontese, Gilda, per il finale di Rigoletto, regia di John Turturro; Elaborato digitale 2018)
Buio in sala e sul palcoscenico…solo la luce di una lanterna squarcia il buio assoluto al suo ingresso in scena alle prime vigorose note dell’ouverture e fin da queste si intende la vivacità passionale dell’interpretazione direzionale che imprime Renato Palumbo, importante direttore, alla superba orchestra del Teatro Regio di Torino.
La scena realizzata con elegante sobrietà da Francesco Frigeri, ha i colori dei dipinti di qualche secolo fa, ma riadattati con soffuse tonalità contemporanee. L’ambientazione voluta da John Turturro, alla sua prima regia operistica, è cupa, come è cupamente atroce la vicenda, che lascia spazio ai soli sentimenti di Rigoletto, ma che il fuoco dell’assenza di scrupoli li annienta negli altri personaggi. Registicamente è interessante per i movimenti molto curati e non banali, grazie anche a Cecilia Ligorio, regista collaboratore e già apprezzata in regie anche ardue. L’unica mia perplessità è al finale quando si evidenzia il sacco che Rigoletto scopre realmente vuoto e l’apparizione di Gilda che da sola, in preda agli ultimi affanni, si farà avvolgere dal sacco funebre. Ottima la scena sempre avviluppata dai fumi nebbiosi che ottenebrano Mantova e veramente apprezzate le luci di Alessandro Carletti, riprese da Ludovico Gobbi, con la scelta di tagli quasi geometrici per non intaccare con alcuna morbidezza la cruda vicenda e suggestiva l’inquietante ed atroce alba con nudi alberi che si stagliano alla luce angosciante di un nuovo, ultimo giorno.
La casa di Gilda è semplice, ma traspare una sorta di benessere dal letto ‘a barca’ probabilmente un Carlo x°; per contro l’abitazione di Sparafucile è inclinata su un lato, ovvero storta, così come non è lineare la vita che si consuma all’interno: un uccisore prezzolato di professione e dalla sorella che concupisce le vittime per offrirle alla lama della spada del fratello.
I momenti di divertimento scomposto a palazzo ducale sono davvero ben congeniati anche con le coreografie misurate ed efficaci di Giuseppe Bonanno, assistente Sara Marcucci, esaltate dai costumi eleganti ed arditi di Marco Piemontese che molto donano all’insieme.
Amartuvshin Enkhbat, recentemente scoperto prima al Coccia di Novara e poi in Arena a Verona nei panni di Nabucco, lo ritroviamo qui in quelli del buffone di corte interpretato con buona compenetrazione del personaggio vendicativo ed inasprito dalla cattiva sorte; la voce è ben timbrata con ombreggiature tenebrose e scure. Gilda, la figlia inutilmente tutelata e protetta incontra il soprano Gilda Fiume, che se la memoria non mi tradisce, ascolto per la prima volta e che mi piace! Ha un bel colore dai riflessi argentei e brillanti; non lesina le agilità senza perdere mai la pulizia d’emissione e l’accoratezza narrativa. Iván Ayón Rivas interpreta adeguatamente il lussurioso duca di Mantova che fa del libertinaggio il suo dissoluto modus vivendi, calpestando ogni sentimento proprio ed altrui per qualche momento di fugace piacere: la voce è di volta in volta più calda ed il tono si arrotonda man mano, raggiungendo bei momento di canto. Carmen Topciu è il mezzosoprano che interpreta Maddalena, l’accalappiatrice di uomini per il piacere suo e per una manciata di soldi spartiti con il fratello carnefice: piglio sicuro e voce ben timbrata calibra gli atteggiamenti con sapiente incisività. Altra gradevole scoperta nel cast è Romano dal Zovo il quale interrompe improvvisamente la sua vita di tecnico programmatore per seguire i consigli ricevuti e dedicarsi al canto, con veloci gratificazioni che lo portano in breve a cantare in teatri prestigiosi a fianco di mostri sacri della lirica; qui interpreta il perverso Sparafucile con voce profonda e penetrante che incide l’animo; in sala ho sentito un commento che ben caratterizza la sua interpretazione: “bello e dannato” . Per concisione e sobrietà mi fermerei qui, con un unico generico plauso a tutti gli interpreti i quali nei loro ruoli sono stati apprezzati ed efficaci, senza alcuna nota di non apprezzamento e non gradimento.
Sempre un risalto particolare va assegnato al Coro del Teatro Regio che con la direzione di Andrea Secchi, dona sempre interpretazioni di tutta eccellenza.
La Musica vince sempre
Renzo Bellardone
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