Si sente spesso parlare di quest’aquila e, forse, si conosce più lo splendido rapace che l’uomo di cui porta il nome: Franco Andrea Bonelli. Nasce a Cuneo, il 10 novembre 1784, grande studioso di ornitologia ed entomologia. Già nel 1811 diventa professore di zoologia all’Università di Torino e inizia il grande lavoro di riordino e rivalutazione del Museo di Storia Naturale. Le vicende politiche s’intersecano con quelle scientifiche e, infatti, l’Università è chiusa dopo la disfatta di Napoleone. Nel 1815 si ritorna alle attività didattiche, ma nel 1821 nuova chiusura causata dai moti piemontesi. Bonelli, però, continua imperterrito la sua opera di padre del Museo, aiutato da Maria Cristina di Borbone e dal sovrano Carlo Felice. Si fanno strada i primi problemi di salute (disturbi cardiocircolatori) che si aggraveranno fino alla morte, giunta ad appena 46 anni, nel 1830, per ischemia cerebrale. Nel corso della sua pur breve attività, ha modo di farsi stimare nell’intera Europa, stringendo solidi contatti con i più eminenti scienziati dell’epoca: Cuvier e Lamarck. Soprattutto quest’ultimo esercita una grande influenza sulla sua visione scientifica. Nel 1812, elabora un’originale teoria di stampo, appunto, lamarckiano, con la quale tenta di spiegare la transizione di una classe di animali all’altra, sostenendo che le sue tesi non sono in contraddizione con la Bibbia. Gli si deve molto, per quanto riguarda la diffusione delle nuove idee darwiniste in Italia. Ambientalista ante litteram, si batte per la cessazione della caccia allo stambecco delle Alpi, già allora a rischio d’estinzione. Entriamo nei particolari del suo lavoro di scienziato. Scoprì numerose specie di uccelli e pesci, descrivendoli con una precisione encomiabile. Il suo nome, però, è legato in modo indissolubile all’aquila Hieraaetus fasciatus, famiglia Accipitridae. È presente in Calabria, Sardegna e Sicilia. Predilige le zone rocciose bene assolate e inaccessibili, presenta notevoli dimensioni (180 cm di apertura alare nella femmina, meno nel maschio), si nutre di piccoli mammiferi, soprattutto conigli, e di uccelli. La cova dura circa 40-45 giorni e i genitori si alternano nella cura delle uova, deposte tra febbraio e marzo. È facilmente riconoscibile per una macchia bianca sul dorso ed è notevolmente aggressiva nei confronti di altri rapaci. Purtroppo, l’uomo e le manomissioni ambientali hanno portato questo splendido uccello alla soglia dell’estinzione. Soprattutto il bracconaggio e la cattura di uova sono stati elementi a dir poco devastanti, facendo diminuire drasticamente il numero. Grazie alla LIPU e ad altre associazioni di protezione faunistica, nei giorni scorsi si sono involati in Sicilia trenta giovani, dopo un lungo periodo di appostamento da parte di volontari che hanno vigilato, anche con telecamere, sulla tranquillità della cova e delle cure neonatali. Un successo di portata oggettivamente storica. A loro, la gratitudine più sincera.
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