Mi piaceva molto questo soprannome messo da altri. E così anche per me Scarfiotti era Lulù: il re della cronoscalate, due volte vincitore (1962 e 1965) del Campionato europeo della Montagna. Torinese e cugino di Gianni Agnelli, si dedica presto alle corse. Già nel 1956, a 23 anni, conquista il primo posto della categoria 1100 nella celeberrima Mille Miglia. L’anno seguente è campione italiano di velocità Gran Turismo. Si fa notare, vince, è coriaceo. E nel 1962 approda alla Ferrari. Iniziano i successi di livello mondiale: nel 1963 la 12 ore di Sebring con John Surtees su Ferrari 250P e la 24 ore di Le Mans con Lorenzo Bandini sempre sulla 250P. Nelle prove del Gran Premio di Francia subisce un grave incidente, ma non demorde. E arriva un nuovo alloro nel 1964: la 1000 chilometri del Nurburgring con Nino Vaccarella sulla 275P. Nel 1966 trionfa a Monza, in Formula1, con la 312. Successo di portata storica: nessun pilota italiano è riuscito più a vincere nel tempio della velocità, a tutt’oggi i tifosi aspettano con ansia un connazionale sul più alto gradino del podio. Nel 1967 ottiene una vittoria unica nella storia dell’automobilismo: taglia il traguardo, volutamente, con Mike Parkes, sulla 312. Vincono insieme, dunque, per onorare la memoria del compagno Lorenzo Bandini, arso vivo a Monaco. Un gesto di purissima nobiltà che qualifica i protagonisti. Nel 1968, tocca a lui andare via per sempre. Non corre più per la Ferrari, grazie a una tra le tante incomprensibili decisioni della Casa di Maranello, non sempre comprensiva con i piloti italiani. Lo ingaggia, naturalmente, la Porsche. Ed è su una vettura di Stoccarda che trova la morte nella micidiale cronoscalata di Rossfeld, l’otto giugno. Morte strana, solo due strisce sull’asfalto, prima del quarto tornante. Lodovico non sterza, non sapremo mai il perché. Voci, sospetti, ipotesi, nessuna certezza ufficiale. Sappiamo, però, che in quel periodo, i costruttori avevano un chiodo fisso: aumentare la potenza dei motori e, nel contempo, diminuire il peso complessivo delle vetture. Lulù aveva parlato di questo problema a Gerhard Mitter, in Spagna, proprio qualche settimana prima. I due erano alquanto preoccupati, non è piacevole ritrovarsi con il volante staccato e la macchina incontrollabile. Ma i piloti appartengono a una razza del tutto particolare, ben lo sappiamo. Nulla riesce a domare la loro passione, men che meno la morte. Quattro giorni prima di trovarla, rilascia un’intervista all’inviato di un giornale bolognese e ritorna sull’argomento: sia lui sia il compagno Mitter avevano registrato proprio la rottura dello sterzo. La Porsche reagisce alle insinuazioni circa un’effettiva responsabilità sull’incidente. Il direttore sportivo Huschke von Hanstein smentisce il contenuto delle dichiarazioni di Scarfiotti al giornalista ed evidenzia che né la perizia ordinata dalle autorità civili né quella eseguita dalla stessa Casa tedesca hanno rilevato difetti di costruzione. Sarà! Nonostante le smentite, il grande Marcello Sabbatini, direttore di Autosprint, non si arrende e rilancia la tesi di un cedimento meccanico. Alla fine, tutto viene messo a tacere. L’automobilismo perde un pilastro principale, i tifosi un uomo di rara gentilezza.
Alla Targa Florio non fu mai fortunato: due vittorie certe svanite per colpa di altri, o forse del destino che spesso si accanisce in modo inspiegabile. 5 maggio 1963, 47^edizione: corre con Bandini e si avvia al successo. Un nubifragio si scatena nell’ultima parte della gara, il direttore sportivo della Ferrari decide di far salire sulla vettura dei due Willy Mairesse, inattivo dopo il ritiro della sua 250P. Poco prima del bivio che porta ai box, circa tre chilometri, Mairesse commette un errore, sbanda, finisce in testacoda e urta un dosso. Nell’impatto, si spezzano le cinghie che reggono il cofano e transita sul traguardo di Floriopoli con lo stesso che penzola strisciando sull’asfalto. Scelta infelice della Casa di Maranello che regala il podio alla Porsche di Bonnier-Abate. Prima per meno di dodici secondi. 14 maggio 1967, 51^ edizione: questa volta divide, con Vaccarella, la guida della più bella Ferrari di tutti i tempi: la P4. Nonostante una muta di Porsche ufficiali e private, il Preside Volante lascia il vuoto dietro di sé. Addirittura abbassa di due minuti il suo stesso record del 1965 e sempre in minuti si registra il vantaggio sulle inseguitrici, prima quella di Mitter. A Collesano, muoiono le speranze per lui, Scarfiotti e centinaia di migliaia di tifosi. Il Professore urta un marciapiede per cause mai accertate, la Ferrari non subisce gravi danni ma non può proseguire. Per Lulù svanisce anche la seconda possibilità di vincere ‘a Cursa. È terribile pagare per gli sbagli altrui. Ma è in questa occasione che il campione cede il passo all’uomo, anzi al gentiluomo. Arrivata la triste notizia ai box, fa un gesto che mai dimenticherò: come a dire sono cose che capitano. Resto e resterò convinto che al suo posto, altri avrebbero bestemmiato per l’intera giornata, come minimo. Anche per questo straordinario comportamento, Scarfiotti è entrato nel cuore dei tifosi e ci resterà per sempre. Quando fu inaugurato il Museo di Collesano, fu invitato il figlio Luigi che si dichiarò meravigliato per l’affetto che, a distanza di tanti anni, gli appassionati tributavano al padre. E continueranno a tributare. Di Lulù ho molti ricordi che, però, tengo per me. Manifesto solo le tante domande con le quali lo assalivo all’hotel Santa Lucia di Cefalù. Alle quali rispondeva sempre in modo esaustivo e con rara gentilezza. Ciao, re della Montagna!
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