Il 6 gennaio del 1959 moriva Don Vincenzo Florio: il Cavaliere. Sicuramente uno dei siciliani da ricordare e forse mai celebrato così come avrebbe meritato. Di famiglia benestante, armatore e industriale di vini, Vincenzo Florio fu da sempre appassionato di automobilismo, tanto che partecipò come pilota a diverse gare. Nel 1906 applicò le sue doti imprenditoriali nella creazione e organizzazione di un trofeo automobilistico in Sicilia, la Targa Florio, corsa automobilistica sul circuito delle Madonie che diede grande impulso e rinascita all'imprenditoria siciliana.
Il suo ricordo è in me sempre vivo, e lo esprimo attraverso la passione per la storia della Targa, di cui sono un vero e proprio cultore, e per l'automobilismo più in generale. Ma anche, e soprattutto, per l'uomo: per il quale nutro una vera e propria venerazione. E ho una sola pena: in Sicilia non ci sono più - o almeno, non si vedono - uomini come Don Vincenzo Florio, con lo stesso spirito imprenditoriale e la stessa carica di umanità, entusiasmo e operosità che lo contraddistinsero. Senza dubbio: un grande. Il mio sentito omaggio, e il mio personale ricordo sono espressi in alcune pagine di 'a Cursa, il mio romanzo pubblicato nel 2008 da Nuova Ipsa Editore. Nelle stesse sono presenti alcune vivide emozioni dei giorni della sua morte. Spero, attraverso la lettura di queste pagine, di seguito riportate, di trasmettervi il pathos di cui è permeato tutto il mio romanzo. E, soprattutto, a chi non ha vissuto, quelli, che oggi posso solo chiamare: nostalgici ricordi.
Giuseppe Pitrone
L’alba di giorno 5 li trovò già svegli. Tutto il silenzio del viaggio fu frantumato in un colpo solo. Lo zio parlò in continuazione, come posseduto da un demone. Gli raccontò di come, quando e dove aveva conosciuto il suo più caro amico. Gli raccontò i tanti episodi che li avevano accomunati in 53 anni di avventure, a volte ridendo, a volte piangendo, a volte bestemmiando. E glieli raccontò come se avesse scordato che lui li conosceva benissimo, avendoli ascoltati mille e mille volte fin da bambino.
Alle 10.30 erano di fronte alla casa del Cavaliere. Prima di entrare lo zio esitò. Si appoggiò al cancello e respirò a lungo.
Li accolse Cecè Paladino. Con uno sguardo spento, strinse le loro mani come un automa e, in silenzio, li fece entrare. L’espressione di Donna Lucie fu più eloquente dell’infaustadiagnosi di cirrosi epatica emessa dagli specialisti.
“Franco! Grazie, grazie di essere venuto. Oh, Dio! Giuseppe, caro, entra, entra, accomodatevi. Vincenzo, guarda, guarda chi c’è”.
Lui non oltrepassò la soglia della stanza.
Il vecchio leone respirava a fatica, sorta di rantoli fuoriuscivano dalle labbra olivastre socchiuse. Alzò a stento la testa e fece segno a Cecè di aiutarlo a girarsi.
“Franco, ci siamo. Sto per… per… tagliare il traguardo”.
“Don Vincenzo! Amico mio! Sì, stai tranquillo, taglierai il traguardo. Ma solo per essere pronto a nuove vittorie, come hai sempre fatto”.
“Quanti anni sono trascorsi dal 1906?”
“Cinquantatré”.
“Già, sono tanti! Ti prego, non mi prendere in giro proprio alla fine. Sai, mi sento… vedo come se tutto fosse diventato grigio… sono come il sole al tramonto che scende… scende… e l’oscurità brama di prendere il suo posto. Sì, sì, l’oscurità… sento che adesso è il suo momento. Come sta Giuseppe?”
“È qui. È venuto anche lui”.
“Ah, bene. Non ti vedo, caro. Avvicinati”.
“Cavaliere, sono accano a lei”.
“Ora, ora ti vedo. L’altra mattina ti pensavo… un goccio d’acqua… grazie… ti pensavo perché… ho sognato che avevi vinto la mia Targa e… non capivo chi eri perché durante la premiazione indossavi ancora il casco… gli occhiali… e dicevo… chi è? Chi è? Poi…”
“Caro, ti prego, non ti affaticare, glielo racconterai un’altra volta”.
“Oh, Lucie! Un’altra volta? Amore mio, chiama Cecè. Devo… dirgli… devo”.
“Dimmi, zio, dimmi cosa vuoi”.
“Prometti, devi promettere che…”
“Sì, qualunque cosa vorrai”.
“Prometti che la mia Targa non morirà con me. Prometti, ti prego, che farai di tutto perché possa continuare “.
“Sì, lo prometto. Però, riposa un pochino, adesso”.
Lui non rivide mai più il Cavaliere.
L’indomani, giorno dell’Epifania, furono svegliati da una telefonata che spaccò i loro cuori con un colpo d’ascia: Don Vincenzo era stato trasportato in ospedale.
Arrivarono trafelati e aspettarono di fronte a una bianca porta, seduti su una panchinetta metallica più fredda della morte. Dopo alcune ore – tre? quattro? – ‘u Cavaliruzzu che aveva creato la Targa per rendere felici i Siciliani, tagliò il traguardo della sua ultima gara.
Il signore delle Egadi, il più grande gentiluomo del suo tempo, di quello passato e di quello a venire li aveva lasciati. Era morto Vincenzo Florio, il Rivoluzionario. Vincenzo Florio, il piccolo, maestoso gigante che aveva stravinto col mondo intero una sfida titanica: trasformare una terra ritenuta patria di pastori e fuorilegge in un palcoscenico grandioso e raffinato. Nel quale era un altissimo privilegio anche il solo recitare una piccola parte. Vincenzo Florio, che gli aveva sempre voluto bene, sempre consigliato e incoraggiato, che si era impegnato anche per le difficoltà con Elisabeth.
Vide lo zio portarsi le mani alle tempie e accasciarsi sulla panchina metallica, sentì pianti disperati. E sentì anche i motori di tutte le auto da corsa del mondo ululare all’unisono per il dolore acuto e per il rispetto. Vide e sentì. Ma tutto gli apparve confuso, avvolto in una nebbia d’incredulità, ovattato da una sorta di trance che continuò nei giorni seguenti. Solo alla fattoria riuscì a scostare il velo dei ricordi e a vedere nitidamente le tappe della via dolorosa fino a Palermo, i funerali con le bandiere dell’Aci Italia, della Fia, della Csai, i piloti siciliani, i rappresentanti delle Case automobilistiche, i giornalisti di tutto il mondo.
Dal libro “ ‘a Cursa”, pagine 432, 433, 434
Il libro è edito da Nuova Ipsa di Palermo.
“’a Cursa”, di Giuseppe Pitrone, edito da Nuova Ipsa
Tutti i diritti riservati
© 2008, Nuova Ipsa Editore srl, Via G. Crispi, 50, 90145 Palermo
www.nuovaipsa.it - e-mail: info@nuovaipsa.it
ISBN 978-88-7676-342-7
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