Ieri ho seguito un lungo servizio televisivo sul Vesuvio. È un vulcano che conosco abbastanza bene, da ragazzino ebbi modo di visitare Pompei ed Ercolano. Rimasi affascinato e, subito dopo, cominciai a documentarmi su quanto successo nell’agosto del 79 d.C.
Con il termine “vesuviano” si identifica un tipo di manifestazione particolarmente violenta che svuota in tempi molto brevi il condotto superiore. Ciò comporta la risalita del magma che si espande nell’ambiente sotto forma di gigantesche nubi composte da piccolissime “goccioline”. Il fenomeno prende anche il nome di “pliniano”, in onore di Plinio il Vecchio che fu una tra le tantissime vittime dell’antico disastro. La nube si dilata anche a grandi distanze dal vulcano e possiede un’altissima temperatura. In quella tragica circostanza, gli abitanti delle due città non si accorsero quasi della morte imminente, giacché, di fatto, esplosero per via del calore accumulato dai corpi. Alcuni crani appaiono fratturati, testimonianza del fatto che, in pratica, i cervelli schizzarono via dai loro contenitori. Chiedo scusa per i macabri particolari, li cito solo per fare risaltare l’estrema pericolosità di tali eventi naturali. Il Vesuvio è un vulcano attivo, dopo quella descritta da Plinio il Giovane di eruzioni ce ne sono state tante altre, l’ultima nel marzo del 1944. Paradossalmente, la vicinanza di centri abitati ha rappresentato uno stimolo sulla strada della ricerca scientifica. L’Osservatorio Vesuviano, il più antico del mondo, fondato nel 1841 da Federico II di Borbone e inaugurato nel 1845, è uno tra i fiori all’occhiello della Scienza. Gli studiosi tengono sotto diuturno controllo quell’apparentemente innocua montagna. La rete di monitoraggio è una tra le più efficienti. Sebbene non sia ancora possibile prevedere né giorno né ora di una nuova possibile manifestazione, esistono segni premonitori in grado, eventualmente, di fare scattare l’allarme: terremoti che si susseguono, sfasamenti della linea di costa, analisi delle rocce e dei gas. Insomma la scienza è in regola e preparata. La politica, no. Come sempre. E non solo ai nostri giorni.
Il primo direttore della struttura fu il celeberrimo Macedonio Melloni, fisico parmense di idee liberali. Nel 1848, a causa dei moti insurrezionali, fu costretto a dimettersi. Il Governo dell’epoca pensò bene di vendere l’Osservatorio e trasformarlo in albergo, idea per fortuna non realizzata. Lo scienziato Luigi Palmieri, nuovo direttore, si adoperò per ricompattare struttura e team. Tuttavia, soltanto quel certo tipo di politica che abbiamo avuto negli ultimi decenni avrebbe potuto permettere la costruzione di migliaia di case sulle pendici di un vulcano attivo. Né perdo tempo a dare un giudizio, non esiste un aggettivo idoneo per esprimerlo in senso negativo. Prendo atto che l’abusivismo edilizio, spesso alimentato dalla spinta camorristica, è dilagato come e più di una fuoriuscita di magma. Gli scienziati dell’Osservatorio sono in diretto e costante collegamento con la Protezione Civile, sia chiaro. Ed esiste un piano di evacuazione. Tuttavia, anche per il fatalismo tipico di quelle popolazioni e le croniche beghe della politica stessa, nutro qualche dubbio sull’efficienza reale di eventuali operazioni preventive. Preferisco affidarmi alla speranza che il gigante possa continuare a sonnecchiare. Se dovesse risvegliarsi, sarebbero guai seri, molto seri. Non conosco il nome del santo protettore dalla furia dei vulcani, ma confido nell’intercessione di San Gennaro.
Giuseppe Pitrone
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